di Federico Sartori
Sono passati 10 giorni dall’omicidio di Marielle Franco. Come accade spesso per gli altri avvenimenti di cronaca, tutti noi ci siamo fermati un attimo, abbiamo ricordato e condiviso le nostre emozioni soprattutto sulle bacheche dei social, e poi siamo ripartiti per la vita di sempre. Noi abbiamo potuto farlo, Marielle no. E allora vogliamo e dobbiamo continuare a ricordare e soprattutto a metterci in gioco perché ci sia giustizia, senza aspettare che siano altri ad agire per noi. Proprio come ha fatto la giovane attivista brasiliana, che ha pagato con la vita il rispetto della legalità, la sua coerenza e il coraggio di non piegarsi ai soprusi e alla violenza dei più forti.
Il 14 marzo 2018 Marielle Franco stavo rientrando a casa nel complexo di Maré, un agglomerato di favelas della Zona Nord della città di Rio de Janeiro, in Brasile. Sicuramente era stanca dopo una riunione di lavoro incentrata sulle violenze contro le donne di colore. Ma non c’è stato il tempo di riposarsi: la sua vettura è stata affiancata da un altro veicolo, dal quale sono stati sparati molti colpi di pistola, proiettili che sembrano provenire da un lotto appartenente alla polizia federale di Brasilia. Lei e l’autista Anderson Pedro Gomes sono morti sul colpo.
Un agguato come i tanti che accadono in una terra ricca di contraddizioni come è il Brasile. Ma che stavolta ha scatenato la protesta in piazza al grido di “Giustizia!” con migliaia, anzi probabilmente milioni di persone, che da Nord al Sud hanno riempito le strade di tutto il Paese. La protesta è arrivata ovunque: dalle congregazioni religiose, come quella dei francescani (Maledetti siano i soldi che opprimono invece di servire e maledette siano tutte le strutture che rubano l’umanità alle persone e li trasformano in oggetto in mano a coloro che li dominano), alle personalità di spicco a livello internazionale.
“Alcune persone, dopo la loro morte, diventano ancora più vive e più presenti di quanto già lo fossero la vive perché il sangue dei giusti irriga la terra e genera nuova vita ad altri giusti” è il pensiero commosso di Arnold, poeta e musicista di Salvador Bahia.
Di certo il contesto in cui Marielle svolgeva la sua missione non era semplice. L’1 per cento della popolazione brasiliana possiede il 30 per cento delle risorse totali del Paese; una profonda ingiustizia sociale, basata su corruzione, violenza di classe e di genere contraddistingue un Paese di 71 milioni di abitanti. Dagli indios ai poveri della favelas, alle popolazioni di origine africana, centinaia di migliaia di persone subiscono ogni giorno i soprusi di un sistema che li tiene ai margini e che anzi utilizza le forze armate per paura di “disordini”, andando ad incrementare la spirale di violenza.
Marielle nasce qui a Maré, dove è morta, in una terra povera, una bidonville in cui convivono in precarie situazioni igieniche 140mila persone, vessate dal regime di polizia e dalla violenza sociale, oltre che da fame e povertà. Nasce qui, ma con impegno e dedizione si sottrae alla miseria studiando, diventando sociologa, e poi membro del consiglio comunale di Rio de Janeiro per il partito PSOL (Partido Socialismo e Libertade). Lei combatte per i diritti delle donne, in particolar modo delle donne di colore, perché sono trattate con disparità rispetto agli uomini, che comunque vengono umiliati rispetto ai bianchi. Lo fa parlando con veemenza nel consiglio comunale e parlando pubblicamente anche contro il governo del presidente Temer, che autorizzando l’uso dell’esercito all’interno della favelas, è di fatto responsabile dei crimini che i militari potrebbero commettere contro le popolazioni povere che vivono nelle bidonville.
Nel fare tutto questo si vede una grinta, un’energia e anche un sorriso che una giovane donna di 38 anni giustamente ha. Sto parlando al presente, perché è vero Marielle è morta, ma la sua lotta continua. Lo si può capire perché il suo funerale, tenutosi venerdì 16 marzo nel cimitero di Caju, zona nord di Rio di Janeiro, è stato caratterizzato dalla presenza imponente di un gran numero di persone che si erano radunate all’esterno del cimitero. Un gruppo di persone gridava il suo nome mentre la folla, in coro, rispondeva “Presente”, lasciando pochi dubbi sulla presenza viva di questa donna tra il popolo brasiliano che non la vuole dimenticare e, soprattutto, che non sembra voler lasciar morire la sua lotta per la difesa dei diritti umani nel Paese. Ce lo ricorda con un messaggio il membro del Partito Socialista Marcelo Freixo: “Quanto è stato difficile, ma bello vedere il tuo nome nei cartelli e sentirlo nelle voci dei tanti giovani per le strade di Rio. Le stesse strade che abbiamo percorso insieme, ho visto una moltitudine di persone piangere e trasformarti in un simbolo di quello che eri. Anzi, di quel che sei! Mi sarebbe piaciuto che tu fossi con me ad Alerj e nella Cinelandia. È stata la prima volta che mi sono trovato senza te. Ma tu, forse, non eri lì lo stesso? ERI NEI SOGNI DI UNA INTERA GENERAZIONE.”
Che lo sia anche per i nostri giovani. E possa nutrire le loro speranze per un futuro migliore.
Foto di Mídia NINJA – Fickr Creative Commons