di Elena Conforto *
La SPERANZA “non è la convinzione che qualcosa andrà bene,
ma la certezza che qualcosa trova sicuramente un senso,
nonostante come andrà a finire”
(Václav Havel)
La parola “quarantena” deriva dalla forma veneta quarantina, quaranta giorni di digiuno e penitenza. Come non vedere una certa similarità tra la segregazione forzata in casa alla quale siamo tutti costretti a causa del coronavirus e il tempo quaresimale, che come cattolici stiamo vivendo e la cui durata dovrebbe essere pressoché la stessa?
La quaresima comincia con il mercoledì delle ceneri, giorno in cui la liturgia ci ricorda tre pratiche per aprirci di più a Dio e convertire il nostro cuore a Lui: il digiuno, l’elemosina e la preghiera, fatta nel segreto della propria stanza… parole mai suonate così vere come di questi tempi. Infatti sono ormai alcune settimane che, al Nord Italia almeno, non è possibile celebrare l’eucarestia nelle parrocchie. Una forma di digiuno a cui non avremmo mai pensato prima. Ma è vero anche che, se non c’è la messa, c’è sempre Dio e la sua Parola: il cristianesimo è questa presenza amica del Signore risorto nei giorni difficili.
È anche digiuno dagli incontri, dalle manifestazioni di affetto, dal lavoro… Il virus ci colpisce nella dimensione delle nostre relazioni e colpisce tutti, ma in modo particolare i più fragili e per questo ci viene chiesto di avere comportamenti assennati. Gli avvenimenti di questi giorni sono un invito ad avere uno sguardo nuovo verso l’altro, uno sguardo di rispetto e di responsabilità. A tale proposito, mi indignano certi giudizi e certe decisioni sconsiderate da parte di alcuni capi di governo che non hanno a cuore la vita e il bene comune.
Per certi versi, questa “distanza obbligata”, di almeno un metro, ci può permettere di “riconnetterci” con Dio, la cui Presenza, del resto non è confinabile in un semplice spazio.
Queste righe che condivido non sono pura teoria: mentre scrivo continuano a raggiungermi notizie di persone più o meno conosciute che si aggiungono alla lista dei colpiti, infetti o deceduti, una lista che non si arresta. E continua la preoccupazione per le sorelle con cui vivo e i familiari lontani.
Non è facile per nessuno in questo momento, meno ancora per chi ha amici e parenti proprio nei comuni più colpiti. Penso a qualcuno dei nostri congiunti che è già in Paradiso e ad altri che hanno perso zii e genitori. Molte di noi Missionarie Saveriane sono della Lombardia, milanesi e bergamasche. Ormai quasi ogni sera con le sorelle della comunità di Casa Madre ci si trova in cappella, a distanza di sicurezza una dall’altra, per la recita del rosario in memoria di qualche defunto.
Normalmente ogni giorno dopo le 18 accedo alle informazioni della protezione civile – che insieme al personale sanitario sta compiendo un servizio encomiabile e impagabile – sperando di trovare degli aggiornamenti incoraggianti che al momento ancora mancano, ma che speriamo arrivino. Certamente ci vuole tempo prima che le misure prese coi decreti del governo facciano il loro effetto e i numeri comincino a scendere, invertendo la tendenza.
Parma, la città in cui abito, è avvolta in un silenzio quasi da ferragosto anticipato, o forse anche lei assiste attonita e senza parole. Il ritmo è automaticamente rallentato, come se non si sapesse più bene perché aver fretta, quale scadenze ottemperare se sembra saltare ogni programma? Tutto è diventato relativo…
Personalmente ricevo l’invito a “innamorarmi della realtà” (espressione che prendo a prestito da un libro di E. Ronchi e M. Marcolini uscito in questi mesi), una realtà che non mi piace e che in questo momento è per me come un buco nero che tutto inghiotte, in un’implosione di materia e vita. Mai come ora capisco il principio di Papa Francesco che dice che la realtà prevale sull’idea in modo prepotente, si impone e non ci si può sottrarre. A nulla vale ogni forma di ribellione o rifiuto, anzi ci si fa più male. E allora meglio/più efficace è innamorarsi di essa ed entrarci con passione, vivendo l’oggi con coraggio e fiducia, nonostante verrebbe voglia di passare già al 2021, augurandosi che sia meglio e la bufera superata.
Se ci si avvicina di più alla realtà entrandovi, immergendovisi, ci si accorge che ci apre spazi inattesi e sorprendenti. L’amore ci fa sentire parte di essa e prepara il suo cambiamento e nostro, insieme ad essa.
Infine concludo con alcuni orientamenti che prima di tutto sono veri per me per vivere questo tempo di quaresima/quarantena.
In mezzo a tutto ciò, sento l’invito forte a voler bene, perché sempre è tempo d’amare, in ogni circostanza, dando attenzione, anche solo magari attraverso la rete a chi più soffre in questo momento; molto mi colpisce il fatto che se da una parte l’epidemia ci chiede “distanza”, per prenderci cura uno dell’altro, dall’altra non ci permette di vivere il lutto, di seppellire i nostri morti, toccando gli aspetti più profondi delle nostre relazioni.
Inoltre colgo l’importanza di dare segnali positivi e guardandomi attorno mi rendo conto di quanta creatività c’è in tutta Italia: il servizio instancabile di chi combatte contro il virus in prima linea, le donazioni, gli artisti che si esibiscono via internet o alla finestra per aiutare a creare un clima sereno… Diamo spazio a queste forme che aiutano a sentirci più uniti e non soli in questa battaglia. Fa bene a tutti e ci preserva dal ripiegamento su noi stessi e dall’isolamento.
E questo tempo di apparente stallo “ai domiciliari” è prezioso anche per prepararsi al dopo: coltiviamo la speranza per il futuro mantenendo delle mete, anche se magari non si realizzeranno secondo i tempi sperati e i nostri programmi. Comunque è importante progettare il futuro! Sempre! È fondamentale non perdere la forza di inventare il domani. Siamo sempre chiamati a VIVERE BENE questi giorni tanto particolari che ci son dati, attribuendo loro un SENSO, e sarà il significato che noi diamo a restituirci il vigore necessario per andare avanti in queste difficoltà. E sarà Pasqua!
* Suor Elena Conforto, Missionaria di Maria – Saveriana
@Elena_Conforto