Coronavirus, Clarisse di Milano: “La consapevolezza che siamo tutti interconnessi”

Sorelle Clarisse del Monastero S. Chiara di Milano

Noi, sorelle del monastero di Milano, stiamo vivendo questi giorni con un profondo senso di partecipazione e di condivisione della sofferenza, del dolore, della fatica e del disagio di tutti.
È una condivisione a livello concreto, in quanto cittadine chiamate a vivere con responsabilità le indicazioni che ci vengono date dalle istituzioni, per quanto consapevoli che esse limitino e stravolgano in una maniera sicuramente meno consistente la nostra vita già ordinariamente “rinchiusa”.
Soprattutto è una partecipazione solidale al dolore di tante persone e famiglie toccate dal contagio. Cerchiamo, da sorelle povere, di ospitare nella nostra preghiera la sofferenza di chi sta male, così come l’angoscia di chi non può stare vicino ai propri cari che stanno male o che muoiono negli ospedali e la preoccupazione per i genitori anziani o i nonni nelle case di riposo. Ricordiamo quanti stanno dando il meglio di sé nella cura, nel servizio, nella disponibilità, nella ricerca scientifica, con passione e dedizione, con generosità e disponibilità, e i governanti chiamati a prendere decisioni in questo momento grave. Cerchiamo di lasciare che la nostra preghiera sia abitata dalla preoccupazione di chi non può lavorare, di chi si sente impotente davanti a difficoltà tanto grandi. Ricordiamo tante famiglie che sperimentano tutta la fatica per la gestione di parenti disabili o bisognosi di cure, che non possono ora ricevere aiuto, e la tensione di riorganizzazioni domestiche e di convivenze difficili. Affidiamo alla tenerezza del Padre tanti anziani soli, chiusi nei loro appartamenti, o tanti poveri che vivono sulle strade, maggiormente esposti e nella difficoltà, ora, a poter ricevere un aiuto concreto nel loro bisogno.
Condividiamo, in questo tempo di una quaresima così particolare, la fatica di tanti credenti che non possono partecipare all’Eucaristia: anche noi, in segno di condivisione con tutto il popolo di Dio, non celebriamo la messa in comunità. La preghiera liturgica diventa così lo “spazio” in cui, nella comunione nel Signore Gesù, ci ritroviamo, fratelli e sorelle in cammino sulla medesima strada.
La preghiera, inoltre, diventa ancora una volta l’angolo prospettico da cui provare a leggere questi giorni che viviamo. Giorni che impongono una sosta, che ci stanno fermando. Custodiamo la speranza che questa situazione possa diventare occasione per crescere tutti nella consapevolezza di ciò che è davvero essenziale e che abitiamo una casa comune, siamo tutti interconnessi e quello che succede all’altro mi riguarda e mi coinvolge. Non ci sono confini, barriere, muri: possiamo solo collaborare insieme per abitare con responsabilità la nostra terra.
Possiamo lasciare che questa situazione ci insegni a ritrovare alcune coordinate fondamentali della nostra vita, a riguadagnare il senso più profondo della nostra umanità, a fare i conti con la realtà del limite, che non dobbiamo ignorare. Limite che appartiene alla nostra stessa natura, al nostro essere creature. Non possiamo fare tutto, controllare tutto, gestire tutto. Non possiamo rimuovere la morte.
Possiamo abitare questi giorni lasciandoci attraversare dal dono di una comunione più grande, di una consapevolezza più profonda.
Senza dimenticare le tante altre tragedie che, nonostante l’epidemia e accanto ad essa, continuano a coinvolgere e sconvolgere la vita di tante persone: il dramma dei fratelli e delle sorelle della Siria e di tanti migranti, le sofferenze di chi abita paesi feriti dalla guerra, il grido di chi vive in terre segnate da carestie e siccità, e di chi fa quotidianamente i conti con quella cultura dello scarto che lascia loro solo poche e insufficienti briciole.

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