In questi giorni di emergenza leggo sui giornali di uomini e donne accomunati dalla stessa passione per la vita, per l’umanità; semplicemente e splendidamente uomini, trasparenza di un’autenticità che credevamo scomparsa, ma che invece tenacemente risplende in tutta la sua forza, in tutta la sua bellezza; un’umanità che ha riscoperto, finalmente, ciò che la tiene viva, ciò che la rende tale: l’Amore! Un Amore che supera ogni altro amore, anche quello di una casa, dei figli, della propria famiglia che con loro condivide e paga il prezzo della lotta, della fatica, della separazione; che accetta la sfida e il rischio della perdita… Un amore che si fa prossimità, presenza amica, affidabile, là dove regna la solitudine dell’isolamento imposto; che sa inventare i gesti di cura, quando viene meno l’efficacia della terapia; che si fa tramite, anello di congiunzione degli affetti lacerati, degli abbracci vietati, persino nel limite di non poter comunicare con i propri cari.
E allora certo che anch’io vi applaudo e mi commuovo fino alle lacrime, cari amici e colleghi, medici e infermieri che trasudate umanità, che lasciate trasparire, trasfigurati, una bellezza che credevamo sepolta sotto le macerie del menefreghismo e dell’individualismo. Una bellezza che salva! Una bellezza che risplende dietro le maschere, le visiere, gli scafandri che dovrebbero, in qualche modo, assicurare protezione e incolumità; una bellezza che i malati incontrano nei vostri sguardi segnati dall’impotenza e dalla compassione, sulle vostre fronti madide di sudore; che traspare dai vostri corpi piegati dalla fatica, dallo stress, da turni portati all’estremo della resistenza fisica e psichica. Bella è questa fatica che a volte potrebbe apparire inutile, quando si trova a fare i conti con la morte, con l’impossibilità di strappare anche solo un brandello di carne umana alla furia omicida di questo scaltro nemico invisibile! Bella è la vostra lotta, in un lavoro di squadra che non vede più “battitori liberi” e gregari, non conosce più gelosie e invidie di ruoli, competenze, appartenenze di genere; bella è la vostra vita che sembra non tenere più conto del tempo, dello spazio, dei bisogni personali e si fa semplicemente e splendidamente dono!
Sì, perché infermieri non si diventa, si nasce! E c’è differenza tra chi fa l’infermiere o il medico, e chi lo è veramente. E se lo sei, questo è per sempre, anche quando ti ritrovi a rispondere ad una seconda chiamata, ad indossare un saio e a vivere in clausura. Accadono eventi come questo e senti dentro lo stesso richiamo di un tempo…
Anche noi claustrali in prima linea dunque, qui, a metà strada tra la clinica Gavazzeni e l’ospedale Bolognini, a due passi dalla Fiera “ospedale da campo”, a contare le ambulanze che transitano a sirene spiegate per raggiungere con una preghiera, un ricordo, un gemito inespresso malati e soccorritori, perché nessuno si senta abbandonato, solo, dimenticato. Anche noi nelle retrovie con voi, per sostenere – ginocchia piegate e mani alzate – la fatica di un lavoro tutto da inventare e continuamente da reimpostare; per supportare il peso della mancanza di personale, caduto – anche quello – sotto i colpi dell’insidioso “nemico”; per lenire la sofferenza inespressa, perché non c’è tempo per piangere, per lasciarsi andare; perché è necessario resistere e non mollare, essere lucidi nell’agire. E forse molti non sanno che se non siete solleciti nell’avvisare, è perché state ancora cercando le parole giuste da pronunciare; molti non sanno che costa meno fatica stare in sala operatoria, che davanti agli occhi di un malato che sta per morire; e che ti devi difendere dal rimorso, del senso di colpa per non riuscire a fare; e che anche voi avete moglie, marito, figli, padre e madre e un cuore che sente il male… Anche noi con voi, per allontanare la tentazione dello sconforto, della delusione, della rinuncia, perché non abbiate a soccombere di fronte al dramma di dover talvolta decidere tra chi può farcela e chi è destinato a morire…
Ci accomuna la stessa passione per l’uomo e per Dio! Un Dio che oggi, qui e ora, assume il volto di questa umanità sofferente, il volto che voi, come operatori sanitari ogni giorno incontrate; gli occhi, gli sguardi che nessuno di voi potrà più dimenticare, perché ti scavano dentro, ti interpellano, ti provocano, ti sfidano, ti implorano, ti ringraziano per una carezza appena accennata, per una mano tesa, per una parola di incoraggiamento, per una preghiera sussurrata.
Grazie per ciò che siete, per quanto fate! Anch’io, anche noi, vi accompagniamo in questa battaglia fino all’ultimo virus, in questa battaglia per la vita e a costo della vita, affiancando alla vostra impotenza la forza di una preghiera che, mai come ora, sentiamo povera e limitata, che sembra librasi nel vuoto di un Cielo che tace; una preghiera che vorrebbe abbracciare il mondo intero attraverso la nostra vita donata, offerta nel ritmo quotidiano delle nostre giornate; una vita che desidera dilatarsi per contenere l’eccesso del dolore, della fatica, della morte di cui tutti, anche se in modi diversi, siamo protagonisti e testimoni.
La Bellezza salverà il mondo e con quella Bellezza anche la vostra bellezza sarà per molti un segno di speranza, forse l’unico segno visibile della benedizione di Dio per la nostra martoriata terra… E quando tutto questo avrà fine, ricordiamoci di questa umanità bella, che ci appartiene, che è la nostra verità più profonda; ricordiamoci di ciò che ci ha fatto vivere, amare, sperare anche nell’inferno della malattia, del dolore, della morte. Non permettiamo che questa umanità venga sepolta con l’ultima vittima di questa maledetta pandemia, perché quanto abbiamo e avremo drammaticamente vissuto non sia stato invano.
Sr. Chiara Gioia
Monastero Clarisse
Via Lunga, 20
24125 BERGAMO