di Anna Moccia
A colloquio con il missionario scalabriniano Gaetano Saracino
Uno dei sentimenti che inevitabilmente ha accompagnato queste settimane di pandemia è stato quello della paura. La paura di non poter più riprendere la nostra vita, l’impossibilità di spostarsi da un Paese all’altro, la sensazione di sentirsi inutili tra le quattro mura di casa. Il teologo scalabriniano padre Gaetano Saracino ci invita a riconoscere il valore della prossimità e l’importanza delle relazioni con le persone che abbiamo accanto, anche e soprattutto nel mondo della missione.
«Il futuro della missione – afferma padre Gaetano – penso ruoti attorno a una parola che è quella della “prossimità”. Ci sarà bisogno di rivalutare i luoghi dove siamo e che costituiscono la nostra Casa. Ma non sarà un convergere verso, piuttosto un dislocarci verso. Come afferma Papa Francesco, “il discepolo missionario è un ‘decentrato’: il centro è Gesù cristo, che convoca e invia”».
«Proprio questa prossimità costretta – spiega il missionario -, che in questo tempo ci vede tutti sulla stessa barca in tempesta, sembra essere l’occasione per fare un tratto di mare insieme. E se nel nome della sicurezza sanitaria, abbiamo dovuto rinunciare alla fisicità, agli abbracci, ora possiamo imparare a vivere le stesse emozioni attraverso il dono e l’interesse per gli altri. Vivendo in maniera decentrata rispetto a noi stessi».
Di certo andare verso gli altri richiede coraggio e creatività ma anche occhi che sanno vedere oltre l’apparenza. È stata questa capacità di vedere con il cuore che ha permesso a padre Gaetano di scoprire la sua vocazione missionaria: «Sono nato al Sud – racconta il religioso – e fin da bambino nel mio paese ho visto tante persone dover lasciare la propria terra e andare in Germania o altrove per trovare un futuro migliore. Questa cosa mi ha colpito molto e mi ha mostrato come la mobilità umana non sia solo un limite ma anche una grande opportunità. Ho sempre avuto l’impressione, anzi la convinzione, che tutti noi cresciamo solo quando superiamo dei confini o quando sappiamo di essere a un confine e abbiamo il coraggio di fare un altro passo. E questo concetto di patria oltre i confini materiali è strettamente connesso al carisma scalabriniano. Entrare nella congregazione è stato per me un’occasione per poter fare della mia vita un qualcosa che non fosse sprecato, che fosse utile anche agli altri».
Nata nel 1887 per l’iniziativa del beato Giovanni Battista Scalabrini, la congregazione dei missionari scalabriniani assiste i migranti e i rifugiati in tutto il mondo. Tra campagne più recenti, l’iniziativa #UnaSolaCasa, di sensibilizzazione e raccolta fondi che mira a continuare il sostegno a quel “prossimo”, in particolare migrante e rifugiato, che sta soffrendo della pandemia dell’indifferenza o della marginalizzazione.
«Se dovessi sintetizzare il nostro carisma – conclude padre Gaetano -, lo definirei utilizzando alcune frasi della Preghiera al Beato Scalabrini: confortare i migranti e i rifugiati sulle vie dell’esodo perché si sentano parte della famiglia di Dio; donare alla società l’intelligenza della condivisione, l’accettazione dell’alterità e il coraggio della convivenza».
Ascolta la riflessione di Gaetano Saracino
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