di Redazione
I casi di coronavirus nel Paese sono 41 e il numero dei decessi è pari a zero ma anche in Mongolia è scattato il lockdown e i missionari fanno del loro meglio per proteggere la popolazione locale e se stessi dal contagio.
Suor Sandra Garay è nata in Argentina. Dopo la formazione religiosa in Italia per diventare missionaria della Consolata, ha studiato negli Stati Uniti e poi lavorato con i migranti ispanici nel Michigan. Nel 2004 è partita per la Mongolia e attualmente lavora nella missione di Arvaikheer, nel Centro-sud del Paese.
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Via Whatsapp ci racconta le difficili condizioni in cui vive la popolazione locale, aggravate dalla sospensione delle attività: «La vita qui è ancora più dura. In questa primavera insolitamente più calda per via dei cambiamenti climatici, la desertificazione avanza e le riserve di acqua scarseggiano. Da una parte è bello dire che fa più caldo ma dall’altra c’è un prezzo molto alto da pagare perché tutto l’ecosistema è in pericolo.
Come se non bastasse, le risorse di cui dispone la maggior parte delle persone sono appena sufficienti per pagare il necessario. Si sopravvive a fatica e, fin da piccoli, bisogna imparare a vivere con il minimo indispensabile. Ma basta pochissimo, una malattia o una difficoltà, come l’attuale periodo che tutti stiamo vivendo, per ritrovarsi in una situazione di debito e alla povertà estrema. Noi missionari contribuiamo come possiamo, dalla cura della salute alle necessità di chi non riesce a procurarsi carbone per la stufa, cibo e medicine».
«Ma c’è un bisogno ancora più prioritario per loro – sottolinea sr. Sandra -, ed è sapere che c’è qualcuno che cammina al loro fianco, che li accoglie e condivide emozioni, timori e fragilità. Hanno bisogno di sapere che sono amati, che la loro vita è importante e che vale sempre la pena vivere. È questo il senso della nostra missione in questa terra: stare qui in punta di piedi, come amici e non come maestri, ed essere segno della misericordia di Dio».
L’audio dell’intervista a sr. Sandra
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