di Anna Moccia
«Abbracciare la vita consacrata oggi non vuol dire ritirarsi dal mondo ma al contrario, soprattutto in questo tempo di pandemia, camminare e vivere con la gente, condividere le loro gioie e le loro sofferenze, ponendo fiducia nel Signore». Così suor Joan Agnes Matimu, superiora regionale in Kenya delle missionarie della Consolata, intervistata da Terra e Missione.
«La domanda giusta da porsi – afferma la religiosa – è questa: come possiamo restare accanto alla gente? Come possiamo portare speranza e allo stesso tempo mantenere il nostro ruolo di donne consacrate? A volte, infatti, è facile perdere la strada, vedere la nostra vita solo attraverso il lavoro che svolgiamo, ad esempio come maestra o dottoressa, senza considerare che la vita consacrata è una vita donata a Dio e che la nostra vita di intercessione per il mondo è chiamata a testimoniare la santità della Chiesa e la gioia di appartenere al Signore. Bisogna vivere la missione in pieno a partire da questa appartenenza e non come una carriera o un’attività sociale».
«Per far questo – continua – è fondamentale che la nostra testimonianza sia credibile. Fa male ad esempio vedere donne consacrate che non hanno saputo vivere il loro impegno con il Signore o che cercano soltanto il proprio avanzamento di carriera. Molte volte l’intenzione è anche buona, ad esempio se si pensa di sostenere la missione senza ricorrere a benefattori esterni, ma c’è sempre il pericolo che la carriera diventi un fine a se stessa. Bisogna dire sì con le parole, ma soprattutto con la vita, che è possibile appartenere totalmente al Signore e servire la sua gente rimanendo fedeli ai voti che abbiamo fatto».
Per la missionaria della Consolata la chiave sta “nell’imparare a vivere, più che pensare a come sopravvivere”. «Di certo ci sono progetti che portiamo avanti con il sostegno di nostri benefattori ma è importante anche aiutare gratuitamente quanti non possono darci niente in cambio. Non dobbiamo mai dimenticare che la nostra priorità sono i poveri e che dà gioia sacrificare il nostro tempo senza contare quel che riceviamo. Ci riconosceremo come donne consacrate se saremo capaci di gesti gratuiti di accoglienza e di solidarietà, perché l’incontro con Lui ci spingerà sempre più all’incontro verso i più bisognosi, verso Lui stesso sofferente nelle nostre sorelle e nei nostri fratelli».