di Sr. Emanuela Roberta *
Finisce il lockdown. Pian piano la vita riprende, si tira il fiato. Si cerca una rinnovata “normalità”. E da molte parti ci raggiunge l’invito a “rileggere in forma sapienziale” ciò che abbiamo vissuto (e stiamo ancora vivendo).
Provo ad ascoltarmi in profondità e mi sorge un dubbio: non è forse una sottile tentazione questa?
Abbiamo sofferto tanto, e ancora a lungo – lo sappiamo bene – dovremo patire le conseguenze di questa pandemia… Trovare chiavi di lettura sapienziali in questo momento sarebbe certamente rassicurante.
È la tentazione di sempre dell’uomo: chiudere la partita e lasciarsi tutto alle spalle. Abbiamo le “risposte”, abbiamo imparato la lezione. Ma adesso voltiamo pagina e ripartiamo.
Sarebbe molto bello, ma mi pare non funzioni così. Almeno stando all’esperienza narrata dal racconto biblico. Dio lo si può vedere solo di spalle, come ci insegna il libro dell’Esodo, soltanto dopo che è passato e ha segnato la nostra vita.
Il popolo d’Israele continuerà per tutta la storia della salvezza a rileggere il suo vagare nel deserto per quarant’anni, in una ricerca di senso che arriverà fino ai Vangeli e alla persona di Gesù… fino a raggiungere le nostre storie personali.
Sì, perché il cuore dell’uomo, questo mio cuore, non è in grado di comprendere in fretta. Ha bisogno di tempi lunghi e – soprattutto – ha bisogno di toccare con mano la vita, respirarla, far sì che si faccia carne.
Lo sapeva bene Maria, la Madre di Gesù, della quale si ripete due volte nel Vangelo di Luca che “custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19.51). Custodiva e meditava il mistero della vita di suo Figlio. Anche lei non capiva, siamo in buona compagnia…
Un buon esegeta non è colui che trova tutte le risposte riguardanti la Bibbia, ma piuttosto colui che sa porre le domande più audaci al testo sacro, e le lascia aperte, perché possano di volta in volta arricchirsi di significati.
I rabbini insegnano che ogni espressione della Bibbia racchiude 70 significati… più uno, quello che ciascuno di noi è chiamato a trovare, quello che esprime l’unicità di chi si accosta al testo.
Papa Francesco, al Regina Coeli di Pentecoste ci ha consegnato un’espressione fortissima: “Voi sapete che da una crisi come questa non si esce uguali, come prima: si esce migliori o peggiori. Che abbiamo il coraggio di cambiare, di essere migliori di prima e poter costruire positivamente la crisi post-pandemia”.
Come sarà possibile uscirne migliori?
Io credo decidendo di “abitare” le profonde ferite che questo tempo ci ha impresso nel cuore. Lasciare che le domande che sorgono da esse possano accompagnarci a lungo, scavando in profondità. Accettare il disagio e lo “scandalo” che esse possono suscitare scardinando le nostre certezze.
Ci è offerta una straordinaria opportunità, che si presenta per la prima volta nella storia dell’umanità: questa ferita accomuna tutti gli abitanti del pianeta, senza distinzioni: ricchi e poveri, giovani e vecchi, credenti e non credenti. A me sembra un meraviglioso appello alla comunione nella ricerca del senso profondo del nostro vivere.
Non affanniamoci dunque a trovare subito tutte le risposte, ma proviamo a gustare la bellezza che viene proprio dal cammino presente, faticoso, sì, ma appassionante. Partiamo dalle piccole gioie che oggi ci vengono restituite e che prima davamo per scontate.
La nostra fede è questa: il Signore è il Dio-con-noi e per-noi, colui che abita il presente al nostro fianco, per dischiuderci l’orizzonte del futuro.
Concludo con una frase tratta dal film Hector e la ricerca della felicità:
“Non ci dobbiamo tanto preoccupare della ricerca delle felicità, ma piuttosto della felicità della ricerca”.
Come sta il nostro cuore, oggi, dentro questa ricerca?
* clarissa del Monastero di Lovere (Bergamo)