Dalla missione in Polonia una storia di povertà e di speranza, descritta attraverso gli occhi di sr. Maria Rosa Venturelli, missionaria comboniana.
di Sr. Maria Rosa Venturelli *
Un paio di volte al mese, passava davanti a casa nostra Witold – Vito –, aveva circa 52 anni, ma sembrava più anziano. Arrivava a piedi, tirando un carrettino vuoto, dove raccoglieva gli oggetti, soprattutto di ferro, anche ingombranti, che la gente non voleva più. Anche noi qualche volta gli davamo delle cose che non ci servivano più… lui le prendeva con un sorriso e diceva che le sistemava e poi ci guadagnava qualcosa. Il ferro, il rame, e altro ancora. Iniziai a fermarmi più a lungo con lui quando passava per farlo chiacchierare un po’ e ascoltarlo nelle sue necessità. A volte accettava di prendere un caffè, altre volte non si poteva parlare, aveva già bevuto ed era abbastanza brillo….bisognava lasciarlo andare per i fatti suoi.
Mi diceva che abitava lì vicino, non lontano da noi, ma non ha mai voluto che andassimo a trovarlo a casa. Diceva che aveva tutto il necessario per vivere. Ma non era così. I suoi abiti non erano puliti e ordinati, la sua persona era trasandata. Ma lui era geloso della sua autonomia o forse della sua povertà. Diceva che non credeva in Dio, anche se da bambino aveva imparato a pregare.
Verso settembre non passò più, passarono settimane senza vederlo arrivare. Finalmente da una sua vicina di casa, la signora Gosia, venimmo a sapere che era in ospedale ammalato, ma a giorni sarebbe rientrato a casa sua. Abitava al primo piano di una vecchia casa mezzo diroccata, vicino a Gosia. Il troppo bere alcol lo aveva tradito. Il suo fegato era malato. Non si poteva fare più nulla per lui. I medici sconsigliarono qualsiasi intervento chirurgico, aveva poco tempo da vivere ancora.
Quando venne dimesso dall’ospedale, dato che lui non voleva andare in nessuna struttura adeguata al suo stato, rientrò nella sua povera casa, ma che a lui sembrava una reggia da re. Andai a trovarlo più volte, era a letto sdraiato senza forze o adagiato su una vecchia poltrona, in mezzo a tanto disordine. Un vero tugurio, non c’era riscaldamento ed era fine novembre. In Polonia gli inverni sono molto rigidi. Gli portavamo alcune cose da mangiare che gli piacevano, ma non ci permetteva di fare nient’altro per lui. Era riconoscente per ogni piccolo gesto di bontà e di affetto. Sorrideva felice.
E venni lentamente a conoscere la sua storia. Era un giovane brillante, aveva studiato, lavorava bene. Un giorno prese moglie e vivevano in un paese vicino al nostro, a Pruszkòw. Ebbero una figlia, la sua gioia più grande. Dopo pochi anni la moglie lo lasciò per un altro uomo più ricco e si portò via la sua bimba. Fu per Witold un temporale a ciel sereno, non aveva mai sospettato nulla. Dovette lasciare la sua casa e non aveva dove andare. Non aveva familiari in zona.
Dormiva per la strada, si mise a raccogliere ferro per poi venderlo e prendere in affitto una casupola e così venne a vivere nel nostro quartiere, in zona Piastòw. La compagnia di amici sfaccendati fu la ciliegina sulla torta, iniziò a bere, spendendo nell’alcol tutti i suoi guadagni di ogni giorno. E si trascinò in questa vita per circa vent’anni. A nessuno aveva mai raccontato la sua storia. Nessuno sapeva niente di lui.
La sua figlia intanto cresceva e la madre le impedì di vedere il papà, le raccontò un sacco di cose negative sul padre e lei non volle mai più vederlo, anche se abitava non lontano da noi. Si vergognava di lui. A volte Witold le mandava i suoi sudati risparmi, che lei accettava senza mai ringraziarlo.
Mentre era così in fin di vita, gli proposi un sacerdote perché lo incontrasse, ma lui non volle, mi disse che i suoi peccati erano suoi e per lui non c’era misericordia, se Dio fosse esistito davvero. E non ci fu nulla da fare. L’ultima settimana peggiorò molto e chiedemmo ai Padri Camilliani che avevano, in zona Ursus, una casa per i senza fissa dimora, se potevano ospitarlo e accudirlo. A quel tempo era responsabile della casa un “santo camilliano” – chiamato dalla gente “il santo dei poveri” – padre Włodzimierz Mazur, che ogni tanto passava da casa nostra a prendere un caffè, e tutta la gente lo ammirava perché si prendeva cura di tutti coloro che nessuno voleva.
Witold era stremato di forze – grazie anche all’aiuto del sindaco, Pan Zdzisław Brzeżinski, un vero uomo di cuore attento ai poveri, che si assunse le spese della degenza – fu trasportato nella nuova casa, dove rimase in vita per diversi giorni ancora. Era un bel posto, con un grande giardino e mi dissero in seguito che Witold era felice e contento. Ci mandava a salutare e ci ringraziava di tutto. Ma parlare di Dio niente da fare. Venne l’ultimo giorno della sua vita e fece chiamare il padre camilliano, perché voleva confessarsi prima di morire, perché le suore – disse – glielo avevano tanto consigliato. E morì serenamente.
Il suo funerale fu vissuto da me con tanto cuore: il sindaco pagò una tomba per lui; il parroco ks. Zenon celebrò il funerale nella parrocchia, eravamo presenti noi tre sorelle, una famiglia povera vicina di casa e alcuni membri dell’Azione Cattolica adulti della parrocchia stessa. La figlia, avvertita dai servizi sociali, aveva detto che non sarebbe venuta, perché non era mai stato suo padre. Certamente, dall’Alto, Wiltold pregherà per lei.
Carissimo Witold, a volte ti penso e faccio memoria del tuo vissuto difficile e solitario, ma certamente ora sei nella Pasqua eterna, insieme a tutti i santi e sante del cielo! Prega per noi tutti!
* Sr. Maria Rosa Venturelli, missionaria comboniana. Ha lavorato per 12 anni in Zaire (attuale Repubblica Democratica del Congo) e 10 anni in Polonia. Autrice di Terra e Missione