di Patrizia Morgante
È un appello disperato ma non di una persona disperata: Frei Betto scrive ai suoi amici e amiche all’estero per denunciare con forza il genocidio intenzionale in atto in Brasile.
Il frate domenicano e scrittore brasiliano, consulente della FAO e di movimenti sociali, in una lettera aperta, dati ufficiali del governo federale alla mano, afferma che molte delle 80mila vittime del Covid-19 in Brasile si sarebbero potute evitare con delle misure preventive e restrittive adeguate alla gravità della situazione.
“Questo genocidio – scrive Frei Betto – non scaturisce dall’indifferenza del governo Bolsonaro. È intenzionale. Bolsonaro si compiace dell’altrui morte. […] Ma perché questa politica di morte? Fin dall’inizio, Bolsonaro dichiarava che l’importante non era salvare vite, ma l’economia. Da qui il suo rifiuto a decretare il lockdown, a recepire le linee guida dell’OMS, a importare respiratori e dispositivi di protezione individuale. È dovuta intervenire la Suprema Corte, delegando tali responsabilità a governatori degli stati e sindaci”.
Il gesto politico di Frei Betto ci invita a uscire da una sorta di impotenza davanti al dolore di vedere tante donne, uomini e bambini, non solo in Brasile, perdere la vita per la mancanza di materiale sanitario adeguato, o per l’impossibilità di accedere alle cure perché troppo poveri. Un grido che non può lasciarci indifferenti.
Frei Betto gode di una grande reputazione in patria e all’estero tra i sostenitori di un mondo giusto e pacifico: per questo scrive questo appello, per non sentirsi solo e per svegliare le coscienze. Per cambiare le ingiustizie dobbiamo essere insieme, possiamo farlo solo insieme. Magari non servono le masse, ma un gruppo di persone profondamente intenzionate a cambiare la realtà perché ognuna e ognuno possa godere dei diritti fondamentali.
Se ci fermiamo un momento a dare un nome a ciò che sentiamo, non possiamo non pensare a tutti quei volti senza nome che, come nel Mediterraneo, muoiono senza neanche arrivare a essere riconosciuti: il nostro nome è ciò che ci fa uscire dal fondo del qualunquismo, per essere qualcuno, semplicemente noi stessi.
La lettera
LETTERA AGLI AMICI E AMICHE ALL’ESTERO
Care amiche e cari amici,
in Brasile si sta consumando un genocidio! Mentre vi scrivo, 16 luglio, il Covid-19, apparso da queste parti nel febbraio di quest’anno, ha già ucciso 76mila persone. Sono già 2 milioni le persone contagiate. Entro domenica prossima, 19 luglio, arriveremo a 80 mila vittime. È verosimile che in questo momento, mentre state leggendo questo mio drammatico appello, si raggiunga la soglia dei 100mila morti.
Quando penso che nella guerra del Vietnam, durata 20 lunghi anni, sono state sacrificate le vite di 58 mila militari statunitensi, mi rendo conto della gravità di quanto sta accadendo nel mio paese. Questo orrore è causa di indignazione e ribellione. E sappiamo tutti che le misure precauzionali e restrittive, adottate da tanti altri paesi, sarebbero state in grado di evitare un così elevato numero di perdite.
Questo genocidio non scaturisce dall’indifferenza del governo Bolsonaro. È intenzionale. Bolsonaro si compiace dell’altrui morte. Quando era deputato federale, durante un’intervista per la televisione, nel 1999, aveva dichiarato: “Con il voto, non cambierete niente in questo paese, niente, assolutamente niente! Purtroppo, qualcosa cambierà solo se un giorno inizieremo una guerra civile, svolgendo il lavoro che il regime militare non ha fatto: ossia uccidendo circa 30mila persone”.
Ha dedicato il suo voto a favore dell’impeachment della presidente Dilma, alla memoria del più noto torturatore dell’esercito, il colonnello Brilhante Ustra.
È talmente ossessionato dalla morte, che una delle sue principali politiche di governo è la liberalizzazione del commercio di armi e munizioni. Interrogato, sulla porta del palazzo presidenziale, se non fosse dispiaciuto per la morte delle vittime della pandemia, ha risposto: “Non credo a questi numeri” (27/3, 92 morti); “Un giorno moriremo tutti” (29/3, 136 morti); “E allora? Cosa volete che faccia?” (28/4, 5.017 morti).
Ma perché questa politica di morte? Fin dall’inizio, Bolsonaro dichiarava che l’importante non era salvare vite, ma l’economia. Da qui il suo rifiuto a decretare il lockdown, a recepire le linee guida dell’OMS, a importare respiratori e dispositivi di protezione individuale. È dovuta intervenire la Suprema Corte, delegando tali responsabilità a governatori degli stati e sindaci.
Bolsonaro non ha rispettato nemmeno l’autorità dei suoi stessi ministri della Sanità. Da febbraio il Brasile ne ha avuti due, entrambi dimessi per essersi rifiutati di adottare lo stesso atteggiamento del presidente. A capo del ministero c’è oggi il generale Pazuello, che non capisce niente in materia di salute; che ha cercato di occultare i dati sull’evoluzione del numero di vittime da coronavirus; che ha introdotto 38 militari a ricoprire importanti ruoli all’interno del ministero, senza che avessero le qualifiche necessarie; e ha cancellato le conferenze stampa quotidiane, attraverso cui la popolazione era informata e riceveva orientamenti.
Basterebbe enumerare qui i molti provvedimenti per destinare risorse in favore delle vittime e delle famiglie di basso reddito (oltre \100 milioni di brasiliani) mai messi in atto.
I motivi dell’intenzionalità criminale del governo Bolsonaro sono evidenti. Lasciar morire gli anziani, per risparmiare risorse della Previdenza Sociale. Lasciar morire i portatori di pregresse patologie, per risparmiare risorse del SUS, il Sistema nazionale sanitario pubblico. Lasciar morire i poveri, per risparmiare risorse destinate al programma Bolsa Família e agli altri programmi sociali rivolti ai 52,5 milioni di brasiliani che vivono in povertà, e ai 13,5 milioni che si trovano in situazione di povertà estrema (dati del Governo federale).
Non pago di tali funesti provvedimenti, il presidente ha ora stralciato, dal decreto emanato il 3 luglio, l’articolo che introduceva l’uso obbligatorio delle mascherine negli esercizi commerciali, nei luoghi di culto e nelle scuole. Ha inoltre eliminato l’obbligo di multa per il mancato rispetto delle norme e l’obbligo da parte del governo di distribuire mascherine ai più poveri, principali vittime del Covid-19, e ai detenuti (750mila). Tali emendamenti non annullano tuttavia le legislazioni locali che hanno già previsto l’uso obbligatorio delle mascherine.
L’8 luglio, Bolsonaro ha stralciato degli articoli dalla legge, approvata dal Senato, che prevedevano per il governo l’obbligo di fornire acqua potabile e prodotti per igiene e pulizia, l’installazione di internet e la distribuzione di beni di prima necessità, semi e attrezzi agricoli, ai villaggi indigeni. Ha inoltre cancellato i fondi per l’emergenza destinati alla salute dei popoli indigeni, oltre che per facilitare l’accesso di indigeni e popolazioni quilombola, al bonus emergenza di 600 real (circa 100 euro) per tre mesi. Ha ancora cancellato l’obbligo a carico del governo di offrire un maggior numero di posti letto negli ospedali, ventilatori e macchinari per l’ossigenazione del sangue ai popoli indigeni e quilombola.
Indigeni e quilombola sono stati decimati dalla crescente devastazione socioambientale, in particolar modo in Amazzonia.
Vi prego di divulgare al massimo questo crimine contro l’umanità. Bisogna che queste informazioni raggiungano la stampa dei vostri paesi, le reti sociali, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, e la Corte internazionale di giustizia dell’Aia, nonché le banche e le imprese che accolgono investitori, molto ambiti dal governo Bolsonaro.
Da molto prima di The Economist, sono solito chiamare BolsoNero il presidente – mentre Roma brucia, lui suona la lira, facendo propaganda alla clorochina, rimedio senza alcuna efficacia scientificamente provata contro il nuovo coronavirus. Ma i produttori sono i suoi alleati politici…
Vi ringrazio della vostra solidarietà e vi prego di divulgare questa lettera. Solo una pressione dall’estero potrà riuscire ad arrestare il genocidio che si sta consumando nel nostro amato e meraviglioso Brasile.
Fraternamente,
Frei Betto
Frei Betto è frate domenicano e scrittore, consulente della FAO e di movimenti sociali.