In questa XXXIII domenica del tempo ordinario meditiamo la Parabola dei Talenti. Ognuno di noi è chiamato a mettere a frutto tutti i doni ricevuti, facendo del bene agli altri. Il commento al Vangelo di Don Pierluigi Nicolardi
di Don Pierluigi Nicolardi*
Nel vangelo di domenica scorsa – la parabola delle dieci vergini – Gesù ci esortava a vivere l’attesa del ritorno dello Sposo con prudenza e vigilanza, alimentando sempre la lampada della fede perché, giunto il momento, ciascuno di noi non venga trovato pronto all’incontro.
Mettere a frutto i talenti
In questa domenica, XXXIII del Tempo Ordinario, la liturgia ci consegna ancora una volta una parabola del discorso escatologico del vangelo di Matteo che segna un complemento alla parabola di domenica scorsa. Infatti, se è vero che dobbiamo attendere vigilanti il ritorno dello Sposo, è ancor più vero che nell’attesa dobbiamo esser capaci di mettere a frutto tutti i doni – che nella parabola sono rappresentati dai talenti – che Dio ci consegna il giorno del nostro Battesimo.
Nella parabola Gesù mette in luce come non ci sia servo che non abbia ricevuto qualcosa dal suo padrone: «ciascuno secondo la sua capacità» (Mt 25,15b); così è anche per la vita cristiana, non c’è persona che non abbia ricevuto con abbondanza doni da Dio. Tuttavia non basta essere destinatari di doni e beni; è necessario che questi possano essere usati e messi in circolo perché possano portare frutto.
I talenti e la pigrizia
L’atteggiamento del terzo servo, personalmente, mi riporta alla memoria quei bambini pieni di ogni gioco che, ricevuto l’ennesimo regalo, guarda e nemmeno scarta, ma ripone via annoiato. Così anche dei doni di Dio: egli, con larghezza, distribuisce grazie e doni, ma trova spesso cuori refrattari e incapaci di accogliere e sfruttare. Il terzo servo è attanagliato dalla paura di un padrone che ritiene duro ed esigente: non è questa l’immagine del Dio di Gesù Cristo! È il misericordioso, colui che dona con larghezza e gioia e chiede a ciascuno che il bene ricevuto possa essere moltiplicato.
I cristiani non possono «stare al balcone»
In queste domeniche Gesù sembra esortarci ad uscire da un certo immobilismo per farci comprendere come la nostra vita debba essere spesa per il bene con quanto di bene abbiamo ricevuto. Papa Francesco ha stigmatizzato spesso l’atteggiamento dello stare guardare, usando una espressione argentina davvero significativa balconear: ai cristiani non è concesso stare al balcone. A tal proposito, mi piace citare un passaggio di un romanzo di Gianrico Carofiglio; egli scrive: «Mentre passava la storia noi non eravamo davvero qui. Né altrove» (G. CAROFIGLIO, Né qui né altrove. Una notte a Bari, Laterza ed.).
Il cristiano è l’uomo e la donna dell’hic et nunc, del qui e ora. È colui/colei che vive nel tempo, in questo tempo, consapevole che è ora il momento favorevole e il tempo della salvezza. Ogni occasione mancata di bene è una occasione persa in ordine alla salvezza. Don Tonino Bello diceva che chi non vive per servire non serve per vivere; chi non vive per amare e fare il bene è davvero un servo inultile!
* Presbitero della diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca, Parroco di «S. Antonio da Padova» in Tricase (Le), Direttore dell’Ufficio Diocesano per la Famiglia e AE di zona AGESCI «Lecce Ionica». Autore di Terra e Missione