Regnare con Cristo vuol dire passare dalla logica del “ciò che è bene per me” alla logica del bene comune. Il commento al Vangelo di domenica, solennità di Cristo Re, a cura di don Pierluigi Nicolardi.
di don Pierluigi Nicolardi*
La solennità di Cristo Re dell’Universo chiude l’anno liturgico rilanciando Gesù come giudice e Signore della storia. Il brano del Vangelo di Matteo di questa domenica chiude il quinto grande discorso, quello escatologico; l’immagine di Gesù che emerge e di colui che, dal trono di gloria, è posto a giudicare ciascuno di noi.
Cristo Re, pastore e giudice
Mi piace pensare che l’evangelista Matteo abbia quasi voluto fare una sorta di inclusione in termini di immagini: nel primo discorso, quello della montagna, Gesù è in alto, sul monte, mentre pronuncia la legge nuova per i suoi discepoli; nel discorso escatologico Gesù è in alto, sul trono di gloria, a raccogliere i frutti della legge nuova.
Egli separerà gli uomini e le donne di ogni tempo come il pastore il pastore separa le pecore dalle capre; e ciò che suscita meraviglia è il fatto che la discriminante dello stare a destra o a sinistra non dipende dalla scelta discrezionale del Figlio dell’uomo, bensì dall’esistenza di ciascuno. Infatti, il giudizio dipende dall’amore che avremo saputo seminare lungo i solchi della nostra vita.
Domenica scorsa, nella parabola dei talenti, Gesù ha insistito nuovamente su questo aspetto: ciò che abbiamo ricevuto da Dio in dono – in ultima istanza l’amore – lo dobbiamo mettere a fruttificare perché sarà l’amore ad essere nostro testimone davanti al Figlio dell’uomo.
Un re venuto per servire
La solennità di Cristo Re non ci sollecita, come cristiani, solo rispetto al giudizio; a motivo del battesimo, infatti, anche noi partecipiamo della regalità di Cristo. E siamo chiamati, di giorno in giorno, ad esercitare la nostra regalità alla maniera di Cristo il quale non considerò un tesoro geloso la sua maestà, ma si abbassò fino a farsi servo (cf. Fil 2,6-8), si umiliò fino a lavare i nostri piedi (cf. Gv 13) e a morire per noi.
Cosa vuol dire oggi per noi recuperare la regalità battesimale? Regnare con Cristo significa riscoprire la radice della nostra vocazione battesimale, ossia essere custodi e servi del creato e degli altri.
Regnare con Cristo significa non arroccarsi su posizioni di potere ma condividere i propri doni con gli altri, fino a fare dono della nostra stessa vita. Regnare con Cristo vuol dire passare dalla logica del “ciò che è bene per me” alla logica del bene comune, del fare il bene perché “fa bene”. Ed è così che scopriremo che regnare è servire e che chi serve regna con Cristo.
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 25,31-46)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
* Presbitero della diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca, Parroco di «S. Antonio da Padova» in Tricase (Le), Direttore dell’Ufficio Diocesano per la Famiglia e AE di zona AGESCI «Lecce Ionica». Autore di Terra e Missione