Dopo aver dato ai discepoli l’annuncio della sua Passione, Gesù porta Pietro, Giacomo e Giovanni sul Monte Tabor. Commento al Vangelo di domenica 28 febbraio 2021, II domenica di Quaresima, a cura di don Pierluigi Nicolardi*
Il nostro cammino di Quaresima incrocia un importante momento della vita di Gesù, la trasfigurazione. A circa metà del Vangelo secondo Marco, a metà del percorso verso il compimento del mistero pasquale, Gesù prende con sé tre dei suoi discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni e li porta con sé sul monte Tabor.
La trasfigurazione non segna solo un momento importante per Gesù, ma anche e soprattutto per i discepoli di ogni tempo; essi sono chiamati, dopo la purificazione nel deserto delle tentazioni, a salire sul monte, al luogo dell’intimità con Dio.
Nella tradizione ebraica, infatti, il monte è il luogo della presenza di Dio, la shekinah. Gesù, mostrandosi trasfigurato, non solo dà anticipazione ai discepoli della gloria della risurrezione, ma consegna loro un importante messaggio: la trasfigurazione è segno che Dio ha annullato ogni distanza tra Dio e l’umanità, che il tempo della divinizzazione è già iniziato con la presenza nel mondo di Gesù. Sul Tabor, infatti, l’uomo sale e Dio scende fino a dissolvere ogni distanza.
È scritto nei testi rabbinici:
Rabbi Jose dice: la Shekinah non è mai discesa in basso, né Mosè ed Elia sono mai saliti in alto, come sta scritto: il cielo è il cielo del Signore; la terra la diede agli uomini (Sal 115,16).
– Non è discesa in basso la Shekinah? Eppure sta scritto: Il Signore discese sul monte Sinai (Es 19,20).
– Dieci palmi più in su.
– Eppure sta scritto: In quel giorno i suoi piedi si poseranno sul monte degli Ulivi (Zc 14,4).
– Dieci palmi più in su.
– Non sono saliti in alto Mosè ed Elia? Eppure sta scritto: Mosè salì verso Dio (Es 19,3).
– Dieci palmi più sotto.
– Eppure sta scritto anche: Ed Elia salì nel turbine verso il cielo (2Re 2,11).
– Dieci palmi più sotto.
Nel nostro percorso di Quaresima, nel pieno di questo tempo così difficile che è la pandemia, la trasfigurazione è segno chiaro ed inequivocabile della speranza; Dio non è lontano da noi, ma nel Cristo trasfigurato di dice che, nonostante la tribolazione, la sofferenza, la persecuzione e la morte, c’è un destino di gloria che attende tutti noi.
C’è una luce che annulla il buio e che preannuncia che la liberazione è davvero vicina.
Un autore contemporaneo scrive: «Tutto il nero di tutto il carbone del mondo, a questo sole non ci può tingere manco un raggio!» (M. Perrotta, Emigranti Èspress); Cristo nella trasfigurazione realizza la profezia di Zaccaria: è lui il sole che sorge per rischiarare le tenebre di ogni tempo, anche del nostro presente.
La Trasfigurazione e il Monte Tabor
Dal Vangelo secondo Marco Mc 9,2-10
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati.Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
* Presbitero della diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca, Parroco di «S. Antonio da Padova» in Tricase (Le), Direttore dell’Ufficio Diocesano per la Famiglia e AE di zona AGESCI «Lecce Ionica». Autore di Terra e Missione