A un anno dall’incendio del campo profughi di Moria, la testimonianza delle missionarie Scalabriniane dall’isola di Lesbo
Ha compiuto un anno, in questi giorni, l’incendio del campo dei profughi di Moria, nell’isola di Lesbo. Una tragedia che ha distrutto le baracche ma che ha gettato nella disperazione tutti coloro i quali vivono lì come detenuti in attesa di un giudizio da parte dell’Europa.
Siriani, afghani, africani: in migliaia abbiamo visto e incontrato quest’estate, ognuno con la sua storia e le sue ferite. Un aspetto che non viene quasi mai tenuto presente, infatti, è quello psicologico. Molti di loro si chiudono, hanno difficoltà a parlare e ad affrontare i traumi che hanno vissuto. Si tratta di persone le cui condizioni sono già critiche prima di arrivare qui, in uno degli angoli di continente più ad Est. Non chiedono niente se non la possibilità di avere un futuro per sé e le loro famiglie.
Grazie alla Comunità di Sant’Egidio anche quest’anno abbiamo organizzato una missione che ha avuto come obiettivo quello di tendere una mano verso di loro. Non è stato facile. Qui noi Suore Scalabriniane abbiamo toccato con mano un pezzo di storia e siamo arrivate per aiutare. È stato un lavoro da missionarie, per un’esperienza che ha toccato tutte noi, consapevoli che sarà pure una goccia in un mare di sofferenza, ma è un contributo fatto con il cuore e per il cuore.