Nel discorso rivolto ai presenti in Vaticano per l’inizio del Sinodo dei Vescovi, Papa Francesco pone l’accento sulle tre parole chiave: comunione, partecipazione, missione.
di Anna Moccia
«Le parole-chiave del Sinodo sono tre: comunione, partecipazione, missione. Comunione e missione sono espressioni teologiche che designano il mistero della Chiesa e di cui è bene fare memoria». Queste le parole di Papa Francesco durante il momento di riflessione, nell’aula del Sinodo, in Vaticano, che segna l’inizio del Processo Sinodale “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”.
«Il Concilio Vaticano II – dichiara il Pontefice – ha chiarito che la comunione esprime la natura stessa della Chiesa e, allo stesso tempo, ha affermato che la Chiesa ha ricevuto la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l’inizio».
Vi è poi la parola chiave “partecipazione”: «Comunione e missione – sottolinea Papa Francesco – rischiano di restare termini un po’ astratti se non si coltiva una prassi ecclesiale che esprima la concretezza della sinodalità in ogni passo del cammino e dell’operare, promuovendo il reale coinvolgimento di tutti e di ciascuno. Vorrei dire che celebrare un Sinodo è sempre bello e importante, ma è veramente proficuo se diventa espressione viva dell’essere Chiesa, di un agire caratterizzato da una partecipazione vera. E questo non per esigenze di stile, ma di fede. La partecipazione è un’esigenza della fede battesimale».
Un Sinodo, però, che non è esente da rischi. «Il primo è quello del formalismo – afferma il Papa –. Si può ridurre un Sinodo a un evento straordinario, ma di facciata, proprio come se si restasse a guardare una bella facciata di una chiesa senza mai mettervi piede dentro».
Un secondo rischio, secondo il Santo Padre, è quello dell’intellettualismo: «far diventare il Sinodo una specie di gruppo di studio, con interventi colti ma astratti sui problemi della Chiesa e sui mali del mondo; una sorta di ‘parlarci addossò, dove si procede in modo superficiale e mondano».
E per terzo, infine, “ci può essere la tentazione dell’immobilismo: «siccome si è sempre fatto così, questa parola è un veleno nella vita della Chiesa». Per questo «è importante che il Sinodo sia veramente tale, un processo in divenire; coinvolga, in fasi diverse e a partire dal basso, le Chiese locali, in un lavoro appassionato e incarnato, che imprima uno stile di comunione e partecipazione improntato alla missione».
Alla fine un appello a preservaci “dal diventare una Chiesa da museo, bella ma muta, con tanto passato e poco avvenire” e a metterci in ascolto dello Spirito Santo, il vero protagonista di questo processo sinodale: «Per una “Chiesa diversa”, aperta alla novità che Dio le vuole suggerire, invochiamo con più forza e frequenza lo Spirito e mettiamoci con umiltà in suo ascolto, camminando insieme, come Lui, creatore della comunione e della missione, desidera, cioè con docilità e coraggio».