Immersa nella campagna della periferia orientale della diocesi di Venezia, la Comunità di Marango è un luogo di accoglienza e spiritualità, dove preghiera e lavoro segnano il ritmo quotidiano delle giornate vissute nell’essenzialità e nella condivisione.
di Cristina, sorella della Piccola Famiglia della Risurrezione*
Le “voci dai monasteri” raccolte in questa rubrica provengono da realtà appartenenti alla grande tradizione monastica e pertanto alcuna presentazione si è resa necessaria. Diversamente, nel nostro caso, permettetemi innanzitutto una breve presentazione della nostra piccola realtà monastica, prima di raccontarvi in quali forme si esplicita il nostro essere missionari.
La Piccola Famiglia della Risurrezione o monastero di Marango – dal luogo dove è sorta, nel comune di Caorle, in provincia di Venezia – è una comunità monastica diocesana di fratelli e sorelle che dalla metà degli anni ottanta, per iniziativa di un prete diocesano, don Giorgio Scatto, e sotto la guida paterna e sapiente del Patriarca Marco Cè, si propone semplicemente «una vita in comune, da cristiani» (Bonhoeffer). Fin dall’inizio del suo cammino essa ha assunto la regola monastica ricevuta da don Giorgio dalle mani di don Giuseppe Dossetti, presso il quale è vissuto per un anno intero a Gerusalemme.
La Comunità fa riferimento alla grande tradizione monastica, orientale e occidentale, ma trova maggiormente la sua fonte e la sua ispirazione nei testi biblici che parlano della Chiesa delle origini. Cerca uno sviluppo coerente e continuo della vita battesimale, di consacrare la propria esistenza alla lode della santissima Trinità, di intercedere incessantemente per tutta la Chiesa, per tutti gli uomini, specialmente per i più piccoli e i più miseri, per quelli che ancora non conoscono Gesù, e di collaborare all’edificazione del Regno.
Come monaci diocesani, ai quali è stata affidata la cura pastorale di due parrocchie nell’estrema periferia orientale della campagna della diocesi di Venezia, siamo chiamati a custodire la fede e l’amore nella porzione del popolo di Dio che abita questo territorio, e ad annunciare la gioia del Vangelo a quanti non lo conoscono ancora.
La continua preghiera sul mondo e per il mondo e l’annuncio del Regno fra la gente nella quale siamo stati inseriti, sono a fondamento del nostro essere missionari che potremmo idealmente immaginare come centro attorno al quale si sviluppano progressivamente altri cerchi concentrici.
La nostra missionarietà nel tempo si è provvidenzialmente arricchita quando, per così dire, la missione ha bussato alle porte del nostro monastero, interpellandoci fortemente sulla nostra identità non solo di monaci, ma prima di tutto di cristiani: assieme ai fratelli e alle sorelle consacrati vivono stabilmente altre persone, accolte nel corso degli anni a motivo della loro fragilità e piccolezza. Sono una grande risorsa e un grande dono.
Papa Francesco scrive che «esiste un vincolo inseparabile tra la fede e i poveri» (EG 48); ed il monaco Thomas Merton affermava che «la chiave dell’esistenza è offerta all’uomo proprio fra le cose senza storia e senza dramma: lavoro, fame, povertà, solitudine, ciò che realmente si chiama “vita comune”». Così i fratelli e le sorelle non sono insieme per “fare” qualcosa, ma semplicemente per “essere”.
È questa vita di fraternità cristiana, di semplice accoglienza, di inclusione sociale dei poveri, che testimonia e annuncia la novità del Vangelo. In tal senso il ministero dell’accoglienza, vissuto nella più assoluta gratuità e nell’assenza di giudizio nei confronti delle persone che ci visitano, diventa anche annuncio e profezia che un altro mondo è possibile. Un mondo dove l’altro non è un nemico da combattere, una minaccia per la sicurezza, un estraneo che deve rimanere lontano, ma un fratello con il quale poter condividere un tratto di strada.
Così tre anni fa, rispondendo alla criticità della situazione degli immigrati in Italia, abbiamo accolto anche due giovani africani che hanno reso la nostra comunità monastica non solo internazionale ma anche interreligiosa, essendo musulmani. Occasioni dunque di testimonianza che non cerchiamo, ma che ci vengono offerte dalla vita stessa. Accanto a queste presenze stabili, in monastero vengono quotidianamente accolte persone e gruppi che chiedono un accompagnamento spirituale, un ritiro, un approfondimento della parola di Dio, o desiderano partecipare alla preghiera e alla vita dei monaci.
Se questo primo cerchio può essere rappresentato dall’accoglienza in monastero, possiamo individuarne un secondo nel legame che fin dall’inizio la comunità monastica ha intessuto con le famiglie, soprattutto nella comune condivisione della Parola e dell’Eucaristia domenicale. A partire da questo, abbiamo osato definirci “una famiglia di famiglie”. In seguito è nata un’esperienza, che dura ormai da molti anni: la preghiera settimanale nelle case, dove si riuniscono due o più famiglie per volta, in luoghi e paesi diversi, preghiera alla quale anche noi del monastero ci uniamo visitandoli periodicamente. Si può dire che le famiglie sono allora un altro volto del cammino spirituale dell’intera comunità, in un intreccio fecondo di storie condivise.
Un ulteriore allargamento – un terzo cerchio – della nostra prospettiva missionaria si è concretizzato nel corso degli anni nell’apertura di sentieri di fraternità «in terre lontane e genti straniere alla nostra cultura e mentalità» come recita la nostra Piccola Regola di vita. Si tratta di amicizie personali che ci hanno permesso di varcare i confini del nostro continente per stare accanto ai poveri in Africa, Brasile, India ed Iraq. Si tratta di visite che ci rendiamo più o meno reciprocamente e di sostegni economici che possiamo garantire attraverso iniziative di solidarietà a favore di questi Paesi.
In particolare vorrei soffermarmi sull’amicizia che ci unisce fortemente alla comunità monastica Piccola Fraternità di Cristo Redentore a Qaraqosh (Baghdida in siriaco) nel nord dell’Iraq.
Nell’estate del 2012 questa piccola comunità di monaci iracheni, nata negli anni drammatici della guerra del Golfo, ha fatto visita al nostro monastero. È stato quell’incontro che ci ha aperto le vie dell’Oriente. Avevamo promesso ai nostri amici – Wisam, Raeed e Yaser – che avremmo ricambiato la visita, e così è stato.
Nella primavera del 2013 siamo partiti portando nel cuore un seme di speranza e desiderando incontrare la fede delle comunità cristiane, in una terra tanto martoriata. Grazie alla loro presenza, sofferta e continuamente minacciata, il cristianesimo continua ad essere vivo là dove l’evangelizzazione è giunta fin dall’età apostolica.
Dalle nostre esperienze vissute in questi ultimi anni di persecuzione in quella che fu la terra di Abramo, il grande padre nella fede delle tre religioni monoteiste, terra di esilio per il popolo ebraico e terra di antiche comunità cristiane, abbiamo maturato sempre più la convinzione che la Chiesa abbia un debito di riconoscenza nei confronti del Medio Oriente, in quanto luogo scelto da Dio per rivelarsi all’umanità.
Don Andrea Santoro nel 2000 scriveva: «Noi abbiamo bisogno di quella radice originaria della fede se non vogliamo morire di benessere, di materialismo, di un progresso vuoto e illusorio; loro hanno bisogno di noi e di questa nostra chiesa di Roma per ritrovare slancio, coraggio, rinnovamento, apertura universale».
Come pellegrini di pace siamo stati accanto a questi fratelli, offrendo loro la vicinanza di Dio attraverso la nostra umile presenza, così da non sentirsi da lui abbandonati, come più volte ci hanno ricordato. Ad ogni viaggio siamo ritornati rafforzati nella fede, confermati nella virtù della speranza di questi cristiani che pur nel dramma attuale si sentono parte della più grande storia della salvezza che si aprirà alla gloria. Questa inaspettata amicizia ci ricorda che se vogliamo essere costruttori di pace e scegliere la pace per vocazione, dobbiamo avere il coraggio di ascoltare il grido del mondo che soffre e intraprendere vie di giustizia, ovunque siamo!
A conclusione di questa nostra testimonianza riprenderei il tema di questo ottobre missionario 2021: “Testimoni e profeti”. La presenza della nostra piccola realtà monastica desidera testimoniare i germogli del regno di Dio già presenti in mezzo a noi, vivendo in uno stato di continua conversione dietro a Gesù, con uno sguardo profetico alla piena realizzazione del progetto umanizzante che da sempre Dio ha voluto per questo mondo.
* Monastero di Marango – Caorle (Ve): www.monasteromarango.it