Al suo ritorno dal Viaggio Apostolico a Cipro e in Grecia, Papa Francesco si è fermato nella Basilica di Santa Maria Maggiore e, rivolgendo il pensiero ai tanti incontri, ai volti e alle dolorose storie conosciute nei giorni scorsi, li ha affidati alla Vergine Salus Populi Romani, davanti alla cui icona si è fermato a pregare.
Riflessione a cura di Fra Giuliano Santoro*
Papa Francesco in ginocchio davanti alla Vergine Salus Populi Romani: è il pontefice che prega per la Chiesa, per noi. È un’immagine molto eloquente, soprattutto se guardiamo al vissuto che c’è dietro: il 35° viaggio apostolico a Cipro e in Grecia. È a partire da queste due immagini che faremo delle considerazioni: quella di un uomo inginocchiato in preghiera e quella di un pellegrino in viaggio per un motivo ben preciso: «toccare delle piaghe», come ha detto ai giornalisti durante il volo papale, giovedì 2 dicembre.
Il primo scopo di questo viaggio non era quella di dire qualcosa di particolare, ma di fare qualcosa di importante, di rispondere ad una domanda posta, più di un anno fa, nella meravigliosa enciclica Fratelli tutti (n. 70): «ci chineremo per toccare e curare le ferite degli altri?»
Non solo le parole, ma il viaggio stesso ci interpella. «La storia del buon samaritano si ripete: risulta sempre più evidente che l’incuranza sociale e politica fa di molti luoghi del mondo delle strade desolate, dove le dispute interne e internazionali e i saccheggi di opportunità lasciano tanti emarginati a terra sul bordo della strada». Così continua l’enciclica al n. 71.
È proprio vero che «la storia si ripete», ma si ripetono anche i gesti della cura che siamo chiamati a vivere: primo tra tutti quello dell’ascolto. Diverse sono le voci dei migranti che hanno animato questo viaggio per raccontare al mondo il dramma della migrazione: durante la Preghiera Ecumenica con i Migranti, nella Chiesa di Santa Croce a Nicosia, dove il Papa ha visto di fronte a sé per tutta la celebrazione la Linea Verde, un muro di 180 km che divide in due l’isola di Cipro (la parte greco-cipriota e quella turco-cipriota) e nella Scuola San Dionigi delle Suore Orsoline a Maroussi (Atene), dove anche noi abbiamo avuto la possibilità di ascoltare Aboud, in fuga dalla «cara martoriata Siria»; Katerina e il dubbio della fede; Ioanna e, nelle sue parole, le persone che le hanno insegnato a vivere.
Altro gesto della cura è quello delle carezze che il papa ha lasciato ai giovanissimi migranti durante la visita ai rifugiati presso il presso il “Reception and Identification Centre” a Mytilene, sull’isola di Lesbo, dove forti sono stati il riferimento alla memoria e al futuro, pronunciato attraverso le parole di Elie Wiesel: «è perché ricordo la nostra comune origine che mi avvicino agli uomini miei fratelli. È perché mi rifiuto di dimenticare che il loro futuro è importante quanto il mio», e il contrasto stridente tra chi «patteggia sulle idee» e chi «parte dalla realtà».
Fermarsi, dilatare lo sguardo, immergersi nei problemi dell’umanità e toccarli con mano: questo è l’invito del papa per dare concretezza alla nostra vita cristiana. Non è solo un messaggio morale, ma è l’essenza stessa di una fede vera, pratica: «non è ideologia religiosa, sono radici cristiane concrete».
I gesti della cura sono i gesti di una madre amorevole: questa madre è la Chiesa, che attraverso le mani di ogni cristiano si prende cura del mondo e dei fratelli, e questa madre è anche Maria, a cui il papa ha affidato le piaghe che ha toccato in questi giorni di viaggio. Vogliamo concludere, quindi, con le parole rivolte a Lei che Francesco ha pronunciato a Mytilene, poco prima dell’Angelus di domenica 5 dicembre: «preghiamo la Madonna, perché ci apra gli occhi alle sofferenze dei fratelli. Ella si mise in fretta in viaggio verso la cugina Elisabetta che era incinta. Quante madri incinte hanno trovato in fretta e in viaggio la morte mentre portavano in grembo la vita! La Madre di Dio ci aiuti ad avere uno sguardo materno, che vede negli uomini dei figli di Dio, delle sorelle e dei fratelli da accogliere, proteggere, promuovere e integrare. E amare teneramente. La Tuttasanta ci insegni a mettere la realtà dell’uomo prima delle idee e delle ideologie, e a muovere passi svelti incontro a chi soffre».
Crediti foto: Sala Stampa Santa Sede
* Fra Giuliano Santoro è un Frate Minore, attualmente in formazione presso il Convento di Castellaneta (TA). Ha vissuto alcune esperienze di missione in Albania. Svolge attività di animazione missionaria.