Il 21 aprile la Chiesa universale celebra il 65esimo anniversario della Fidei donum, Lettera enciclica di Pio XII. I doni e le sfide della missio ad gentes nella riflessione di sr. Maria Rosa Venturelli*, missionaria Comboniana.
Il 21 aprile 1957, giorno di Pasqua, veniva pubblicata l’enciclica Fidei donum che attirava l’attenzione della Chiesa cattolica sulle missioni. Il titolo di questa Enciclica è rimasto legato ai sacerdoti diocesani, chiamati appunto Fidei Donum, inviati dai loro vescovi in altre Chiese sorelle e che dopo un tempo più o meno lungo ritornano nelle diocesi “per contagiare” le loro chiese di origine con l’esperienza missionaria vissuta.
L’enciclica Fidei donum nasce dalla preoccupazione di Pio XII per lo stato del cattolicesimo in Africa. Senza trascurare «le regioni scristianizzate d’Europa», «le vaste contrade dell’America del Sud» e le «missioni di Asia e di Oceania», egli intendeva orientare lo sguardo «verso l’Africa, nell’ora in cui essa si apriva alla vita del mondo moderno ed attraversava gli anni forse più gravi del suo destino millenario». Di conseguenza, il documento indica come terra di missione soprattutto l’Africa, investita in quegli anni dalla ventata di indipendenza che portò, con sanguinose rivolte e guerre, alla fine del colonialismo e alla nascita di molti nuovi Stati africani in cerca della loro autonomia e libertà. E numerosi cristiani, religiosi e religiose divennero martiri.
Pio XII nel suo documento accennava ad un nuovo tipo di cooperazione missionaria, diverso da quelli tradizionali. Egli scriveva così: “Un’altra modalità di aiuto, certo più onerosa, è adottata da alcuni Vescovi, i quali, benché ne sentano il peso, autorizzano l’uno o l’altro dei loro sacerdoti a partire dalla diocesi e per un tempo determinato a collaborare con gli Ordinari del luogo in Africa. Questo infatti contribuisce moltissimo affinché là si stabiliscano, con saggezza e ponderazione, nuove e specifiche forme di esercizio del ministero sacerdotale, come pure a supplire al clero di dette diocesi nelle mansioni dell’insegnamento ecclesiastico e profano, cui esso non può far fronte” (AAS, cit., 245-6).
Questo documento ha gettato un seme che pochi anni dopo trovò terreno fertile e si sviluppò, grazie alla profonda riflessione ecclesiologica e missiologica del Concilio Vaticano II e del magistero missionario post-conciliare. Lo scambio vicendevole di persone, mezzi e metodologie apostoliche, i percorsi formativi per i missionari, la necessità di istituire a livello nazionale centri di formazione missionaria per i partenti e di coordinamento per rispondere adeguatamente alle richieste di personale e di mezzi. Ulteriore obiettivo era quello di mettere in condizione le giovani Chiese, che contavano sugli aiuti fino allora affidati solamente agli Istituti missionari esclusivamente ad gentes, sia maschili che femminili, di ricevere i sacerdoti Fidei Donum, formando così le antiche Chiese a vivere la missionarietà di tutta una diocesi, di tutto un popolo di Dio che inviava per l’annuncio ad extra. Quella missionarietà, che con il Concilio Vaticano II, diventerà la prerogativa prima che ogni diocesi del mondo dovrà vivere.
Benedetto XVI nel Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2007, ricordando i 50 anni di questa enciclica, sottolineava che: «Da questa cooperazione sono scaturiti abbondanti frutti apostolici sia per le giovani Chiese in terra di missione, che per le realtà ecclesiali da cui provenivano i missionari/e… e tra loro ci furono non pochi martiri che, alla testimonianza della parola e alla dedizione apostolica, hanno unito il sacrificio della vita. Né possiamo dimenticare i molti religiosi, religiose, laici volontari, famiglie che, insieme ai presbiteri, si sono prodigati per diffondere il Vangelo sino agli estremi confini del mondo».
Tale sottolineatura riguardante i laici e i martiri è molto attuale nell’oggi. Questo non esclude il contributo prezioso degli Istituti esclusivamente ad gentes, che vivono tale missione ad vitam, dando solidità e continuità alla collaborazione, allo scambio di persone tra le diocesi, alla formazione profonda della realtà ecclesiale locale.
Per il fatto che la nostra Enciclica sottolineava il valore dei laici, era anche perché potevano offrire alle nuove Chiese il contributo prezioso di una lunga esperienza formativa nelle diocesi di origine, nei vari Movimenti – esempio l’Azione Cattolica, la Legio Mariae, l’azione sociale, la lotta per la giustizia e la pace.
Alla fine il Papa sottolineava però che l’attenzione all’Africa non doveva far dimenticare gli altri campi della missione, soprattutto l’Estremo Oriente, di grande attualità nell’oggi.
Noi possiamo sicuramente affermare che, se la situazione ecclesiale in Africa è molto maturata, lo si deve anche all’enciclica di Pio XII, che ha risvegliato l’attenzione verso quel continente sconvolto dai fremiti dell’indipendenza e della libertà dei popoli africani, suscitando di conseguenza nelle diocesi del mondo, soprattutto in quelle europee e nordamericane, una nuova vitalità missionaria.
Il grido del Papa raccolto nell’enciclica, allargava davvero lo sguardo e invitava esplicitamente alla missione ad gentes: “La Chiesa in Africa, come negli altri territori di Missione, manca di apostoli”. E così nacquero o si fortificarono le mitiche zelatrici missionarie, che curarono con zelo veramente grande, gli abbonamenti alle riviste missionarie, la raccolta di offerte, lo stimolo alla preghiera, e anche l’offerta spirituale della sofferenza e della malattia, per il bene spirituale delle giovani Chiese.
Tutto questo movimento ecclesiale missionario, diocesano e intercontinentale, aiutò molto nell’approfondire la radice dell’ad gentes: la riscoperta della persona di Gesù di Nazaret per la vita personale del cristiano, dei sacerdoti e religiosi/e, cioè di tutto il popolo di Dio. Tale enciclica poneva l’attenzione sulla dimensione missionaria propria della Chiesa. E così la vita di fede diventa un dono per tutti, non solo interiorizzato, ma condiviso. Come aveva detto Benedetto XVI: “La Chiesa cresce nel mondo non per proselitismo per attrazione”.
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Sr. Maria Rosa Venturelli, missionaria comboniana. Ha lavorato per 12 anni in Zaire (attuale Repubblica Democratica del Congo) e 10 anni in Polonia. Autrice di Terra e Missione