«Seguimi» (Lc 9, 59-60). Commento al Vangelo di domenica 26 giugno a cura di Teresina Caffi*, missionaria Saveriana e biblista
Dal Vangelo secondo Luca (9,51-62):
51Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme 52e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. 53Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. 54Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». 55Si voltò e li rimproverò. 56E si misero in cammino verso un altro villaggio. 57Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». 58E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 59A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 60Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». 61Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». 62Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».
Il Vangelo di oggi si situa a un tornante decisivo del racconto che Luca fa della vita di Gesù. Fino a quel momento l’itinerario di Gesù si snodava libero fra città e villaggi della Galilea, fra malati guariti, poveri evangelizzati, persone che rispondevano al suo appello e tanta accoglienza, sia pur fra qualche contrarietà. Ora viene il momento di andare fino in fondo, di seguire una strada senza deviazioni e senza ritorno, quella verso Gerusalemme, già annunciata dalla duplice profezia sulla passione.
Per questo il linguaggio di Luca si fa solenne, e il passivo iniziale “sarebbe stato elevato” mostra una scelta fatta in obbedienza: Gesù sente che il momento è venuto di giocare il tutto per tutto. Una strada non facile, come un lungo addio. Bisognerebbe chiedere a un condannato a morte come vive i suoi giorni.
Che gli sia costato, Luca lo dice con un’espressione unica nel Nuovo Testamento e rara nell’Antico: “indurì il volto” per andare a Gerusalemme, tradotto in italiano da “prese la ferma decisione”. Dettaglio straordinario che mostra che anche per Gesù la fedeltà non è stata spontanea, ma voluta. Ha dovuto forzare il suo cuore ad andare dove umanamente non avrebbe voluto andare, dove mille ragionamenti lo sconsigliavano.
Indurì il volto, come il servo del Signore di Is 50, che resiste a colpi e sputi perché sa in chi ha messo la sua fiducia. Quando la fedeltà ci costa, ricordiamo che prima che a noi è costata a lui. Ed è grazie alla sua fedeltà che Pietro, l’ondeggiante, sarà reso capace di “confermare”, rendere fermi (il verbo è lo stesso che qui) i suoi fratelli (Lc 22,32).
Inconsapevoli, gli apostoli gli propongono un metodo spiccio per vincere la resistenza dei Samaritani; un bel bombardamento. Basta incendiare un villaggio e gli altri capiscono. Linguaggio sempre d’attualità! Gesù si volta e li rimprovera. Forti con gli altri, ignorano sé stessi. «Ma s’io spezzo, devo spezzare me solo», scriveva T. S. Eliot[1].
Il discorso di Gesù si fa più esigente anche verso coloro che vogliono seguirlo: devono sapere di quale avventura si tratta. Nessuno dei suoi discepoli s’è mostrato così disponibile come almeno due di costoro: sono loro che propongono a Gesù di poterlo seguire.
Gesù non li inganna, ma presenta la sua condizione di totale solitudine: nei confronti delle relazioni più profonde su cui posiamo il capo, dei genitori e della cerchia dei nostri. Uno stacco anzitutto affettivo per rendersi disponibili al Regno di Dio. Niente deve venire “prima”.
Chi osa questo, sposato o consacrato che sia, gusta la libertà, sa dare a ogni cosa il suo giusto valore, trova la via della pace. Ma sono quei “prima” che ci rovinano. Ciascuno/a di può chiedersi che cosa realmente mette prima nella sua vita. Perché quello è il suo dio, la sua catena, la base di tutti i suoi tormenti ed inquietudini e la vera ragione per cui sente semplicemente di vivacchiare. Non è ancora troppo tardi per indurire il volto e prendere con lui la sua strada.
[1] Assassinio nella cattedrale, p. 34
* Missionaria saveriana, Teresina Caffi è nata nel 1950 a Pradalunga (BG), entra ventunenne fra le missionarie di Maria – Saveriane, a Parma. Licenziata alla Gregoriana in teologia biblica, ha svolto la sua missione prima in Burundi e poi nella Repubblica Democratica del Congo, dove si reca sei mesi l’anno per corsi.