Essere umili come il pubblicano è un’occasione di vita, ma anche una missione. Saper vivere in Dio, che dopo averti salvato ti invia ai fratelli e alle sorelle. Commento al Vangelo di domenica 23 ottobre a cura di sr Maria Rosa Venturelli, missionaria Comboniana.
Vangelo Lc 18, 9-14
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
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Commento al Vangelo
Ci fermiamo oggi a contemplare la figura del pubblicano.
“Il pubblicano s’era fermato a distanza”, dice il testo biblico. ma tuttavia era vicino a Dio. Lo teneva lontano il rimorso, ma la fede lo avvicinava al Signore, che lo guardava da vicino. Poiché dice il salmo 138, 6: “eccelso è il Signore che guarda alle cose umili”. Ma non bastava che stesse a distanza: “non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo”. Lo opprimeva il rimorso ma allo stesso tempo lo sollevava la speranza, perché entra in sinagoga. E ancora: “Si batteva il petto”. Sapeva di meritare il castigo, ma sperava di ricevere il perdono, in quanto consapevole dei propri peccati e delle proprie fragilità.
Le parole del pubblicano nella sua preghiera sono brevissime: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”, “O Dio, perdona al peccatore che io sono”. Il verbo hiláskomai, al passivo divino (usato solo qui e in Eb 2,17 per indicare l’espiazione dei peccati compiuta da Gesù) suggerisce la fine di una condanna e il ristabilimento di una relazione, grazie alla remissione delle fragilità e peccati.
È quella stessa invocazione che ritorna più volte nei Salmi: “Signore, in grazia del tuo Nome perdona la mia colpa che è grande” (Sal 25,11); “Dio, nostra salvezza, … liberaci e perdona i nostri peccati a motivo del tuo Nome” (Sal 79,9). È il chiedere a Dio che continui sempre ad avere tanta misericordia di noi peccatori persone fragili. Ecco quale è la sapienza di Israele, “la preghiera dell’umile penetra le nubi” (Sir 35,21). Nella sua preghiera questo pubblicano non spreca parole, ma nello stesso tempo c’è la relazione con Dio, c’è la relazione con se stesso, c’è la relazione con gli altri quali vittime del suo peccato.
Il pubblicano dice la verità, si presenta a Dio senza indossare alcuna maschera: egli lavora e vive grazie ai romani invasori ed esige più del dovuto, dunque vive nella colpa. I suoi peccati, che tutti gli ebrei conoscono, lo rendono oggetto di scherno da parte di tutti: non ha nulla da vantare, sa che può solo implorare pietà da parte del Dio tre volte Santo.
Egli prova lo stesso sentimento di Pietro, discepolo perdonato fin dal momento della sua vocazione quando, di fronte alla santità di Gesù, gridò: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore!” (Lc 5,8; cf. anche Is 6,5).
Oggi è la domenica consacrata alla Missione ad gentes in tutto il mondo. Io sono missionaria e anch’io ho vissuto più volte l’esperienza del pubblicano, quella di sentirmi indegna di una vocazione così grande, come Pietro, ma ho avvertito con profondità nel mio cuore che il Signore era lì, vicino all’abisso del ma infedeltà, del mio peccato, della mia fragilità. Lui era lì con me e io non lo sapevo. Molto belle sono le parole di Gesù, che un giorno ha detto e mi ha detto: “Venite a me vo tutti, io vi darò ristoro”.
È come vivere il verbo detto precedentemente, verbo al passivo. Lasciare che la misericordia di Dio mi avvolga, mi trasformi, mi renda creatura nuova grazie alla Sua Grazia e bontà. Questa è l’esperienza che io cerco di annunciare ai popoli, questa è l’esperienza forte che ognuno/a di noi deve fare nella propria vita, e lasciare che questa esperienza avvenga nelle altre persone che incontro sul mio cammino. Questo è il nocciolo della giornata di oggi, giornata missionaria. Vivere in Dio, che dopo averti salvato ti invia ai fratelli e alle sorelle, per far loro vivere ciò che tu hai vissuto in prima persona con Lui, Gesù, il Maestro, il Salvatore.
Buona giornata missionaria e di invio a tutti voi!