Pellegrini di pace e di dialogo in Iraq

Da Bagdad a Bassora. Nel suo editoriale don Giorgio Scatto, priore del monastero di Marango, ripercorre le tappe del viaggio compiuto in Iraq insieme alla delegazione dello Spirito di Assisi.

La storica visita di papa Francesco in Iraq (5-8 marzo 2021) è stata commemorata ad Assisi il 6 marzo di quest’anno, alla presenza dell’ambasciatrice irachena in Italia, dell’ambasciatore presso il Vaticano, del vescovo della diocesi, mons. Sorrentino, di sacerdoti iracheni ed italiani, ed un folto gruppo di fedeli cristiani e musulmani. La comunità monastica di Marango aveva contribuito a preparare l’evento, dal quale nacque il progetto di voler costruire un ponte di dialogo interreligioso di pace tra l’Italia e l’Iraq, con la promozione di pellegrinaggi in quella terra santa e martoriata, ricca di testimonianze delle diverse fedi.

Con l’approvazione e la benedizione del vescovo di Assisi e il sostegno dell’associazione “Spirito di Assisi”, si è costituita allora una commissione per verificare sul terreno la fattibilità di tale progetto, che non aveva precedenti nella storia e nessuna sicurezza di poter essere portato a termine. Tale commissione era composta da padre Jalal Yako, sacerdote iracheno della congregazione dei Rogazionisti, residente ora ad Assisi; don Maurizio Saba, in rappresentanza del vescovo; Luca Geronico, giornalista di Avvenire, esperto della realtà irachena, già presente numerose volte in quel Paese, come anche nello storico viaggio del papa; Cristina Santinon e don Giorgio Scatto, della comunità monastica diocesana di Marango.

Il compito assegnato non era facile e il risultato per nulla scontato. Si trattava anzitutto di cercare, in tutto l’Iraq, i luoghi più significativi dal punto di vista storico, archeologico e religioso e le strutture più adatte a ospitare dei gruppi di pellegrini. Si dovevano poi individuare, tra le autorità sciite e sunnite, tra i cristiani caldei e siro-cattolici, tra gli ortodossi e gli yazidi, i rappresentanti delle altre religioni e le organizzazioni umanitarie, le persone più autorevoli e più disposte al dialogo. Il piccolo gruppo ha iniziato il suo pellegrinaggio di fiducia il 28 ottobre e l’ha concluso l’11 novembre 2022.

In due settimane abbiamo percorso tutto l’Iraq, da Bagdad a Bassora e a Ur, la città di Abramo; da Dahuq a Suleymaniya, vicino al confine con l’Iran; da Qaraqosh, la cittadina dove vive la maggioranza dei cristiani, a Erbil, che ha offerto rifugio a centinaia di migliaia di esuli che fuggivano dalla violenza dell’Isis. Questa piccola carovana di pellegrini ha incontrato sempre la massima accoglienza e la disponibilità da parte di tutti di aprire vie di dialogo. Sembrava che, finalmente, tutti fossero stanchi di guerre e che anche la visita del papa, ricordata da tutti con ammirazione, avesse offerto la possibilità di nuovi sentieri di fraternità e di pace, impensabili fino all’altro giorno.

Alcuni fatti meritano di essere sottolineati in modo particolare.

I cristiani, che erano prima della caduta di Saddam circa un milione e mezzo, ora sono meno di duecentocinquantamila. La mancanza di sicurezza, la fragilità della politica e la mancanza di lavoro, favoriscono un esodo che non accenna ancora ad arrestarsi. D’altro canto i cristiani sono fortemente tentati di arroccarsi dentro il loro piccolo mondo rendendo più faticoso, il cammino della fraternità con tutti. Anche il mondo islamico, che comprende la quasi totalità della popolazione, facendo prevalere il diritto della loro maggioranza religiosa, non favorisce lo sviluppo del principio democratico di cittadinanza, che assicura a tutti, in egual misura, gli stessi diritti e doveri.

Inoltre, nei rapporti interreligiosi, andrebbe affrontata con decisione la questione della lettura critica dei testi sacri, delle fonti e delle tradizioni religiose. Molto spesso, infatti, è sembrato di trovarsi davanti a delle ‘narrazioni’ religiose, più che a delle fonti storicamente attendibili. Questo soprattutto nel mondo musulmano. Ma anche i cristiani dovrebbero maturare di più un rapporto serio con la Sacra Scrittura, per sostenere con fortissime motivazioni le ragioni della fede e della testimonianza, e diventare familiari alla dottrina sociale della Chiesa, soprattutto negli insegnamenti profetici di papa Francesco, ancora notevolmente sconosciuti. L’incontro tra religioni dovrebbe educare tutti gli interlocutori a liberarsi dall’ideologia religiosa e a trovare i fondamenti irrinunciabili della fede.

Infine, la visita al santuario yazida a Lalish, che è il luogo più sacro di questa religione, a poche decine di chilometri da Dahuk, nel nord del Paese, vicino al confine con la Siria e la Turchia, ha particolarmente colpito il gruppo di pellegrini. Nella nuda essenzialità di quel luogo, inconcepibile per la nostra cultura e mentalità, i pellegrini sono stati accolti dalle più alte autorità di quella religione, la cui popolazione ha pagato il prezzo più alto nella violenza omicida dell’Isis. Ancora 200.000 persone vivono nei campi profughi e 3.000 donne mancano all’appello. Più volte è stato sottolineato dai capi religiosi che avrebbero avuto piacere di ricevere il papa nella sua visita in Iraq, a motivo di tutto quello che hanno sofferto, ma questo non è stato possibile.

Una tavola rotonda, organizzata dai “Fratelli di Gesù Redentore”, una comunità monastica che insieme alla mia Piccola famiglia frequentiamo da dieci anni, ha praticamente concluso il pellegrinaggio. Wisam, uno dei fratelli, è stato tra gli organizzatori di questa spedizione e ha accompagnato il piccolo gruppo per tutto il tempo. All’incontro conclusivo, oltre ai pellegrini provenienti dall’Italia, erano presenti i fratelli della comunità ospitante, quattro religiose impegnate nella scuola e nella pastorale parrocchiale, il direttore della radio cattolica, un parroco, coordinatore della ricostruzione della città di Qaraqosh, un professore universitario e un educatore che lavora in una organizzazione internazionale per la promozione del dialogo e della collaborazione tra gruppi sociali e religiosi. Due ore di ascolto reciproco hanno permesso di raccogliere idee e sentimenti, paure e speranze. C’era chi sottolineava – soprattutto tra le religiose – la poca fiducia nella possibilità di un futuro diverso, facendo notare che le ferite per il male subito fossero ancora molto profonde e insanabili. Ma fra tutti, alla fine, è prevalsa la volontà di proseguire nella via indicata da papa Francesco, attraverso piccoli passi di dialogo ed esperienze di reciproca accoglienza. Nella recente visita in Barhein il papa ha affermato: «Quanto bisogno abbiamo di incontrarci! Più volte ho sentito emergere il desiderio che tra cristiani e musulmani gli incontri aumentino, che si stringano rapporti più solidi, che ci si prenda maggiormente a cuore».

La prossima tappa sarà quella di organizzare un pellegrinaggio nella terra santa dell’Iraq, il Paese tra i due fiumi, che è la culla delle civiltà più antiche, e che ha avuto tanta parte nelle vicende narrate nelle Sacre Scritture, negli oracoli dei profeti e nelle tristi esperienze dell’esilio del popolo di Israele a Ninive e degli abitanti di Giuda a Babilonia. Terra evangelizzata dagli apostoli, e ora in gran parte musulmana.

Sarà un pellegrinaggio di italiani e di iracheni, di cristiani e di musulmani: pellegrini di pace che, strada facendo, passo dopo passo, potranno scoprire la bellezza di essere fratelli.

«Fratelli tutti», scriveva papa Francesco.

Giorgio Scatto

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