Ripercorrendo la sua storia vocazionale, la Provinciale d’Irlanda Kathleen McGarvey dipinge il ritratto della sua congregazione: le Suore di Nostra Signora degli Apostoli (NSA), istituto missionario fondato a Lione nel 1876. «Come Maria e gli Apostoli nel Cenacolo, siamo chiamate a vivere la piena disponibilità ad accogliere lo Spirito di Pentecoste, per lasciarci guidare da Lui, con audacia, sulle vie del mondo».
di Anna Moccia e Mariarosaria Cuozzo
L’emozione del posto c’è tutta. Suoniamo il citofono del Convento di Ardfoyle, un luogo immerso nel cuore verde dell’Irlanda, a Ballintemple, nella città di Cork. Ci aprono il portone. Le pareti del corridoio d’accesso ci parlano attraverso le fotografie dei volti delle tante sorelle che hanno speso generosamente la vita in diverse parti del mondo. È la storia di una missione, iniziata a Lione nel 1876. Ci accoglie suor Kathleen McGarvey, superiora Provinciale delle Missionary Sisters of Our Lady of Apostles (Suore missionarie di Nostra Signora degli Apostoli), e ci fa accomodare nel suo ufficio: davanti a noi i suoi occhi pieni di vita, ispirata dalle tante persone che ha incontrato nel suo cammino. Le chiediamo di parlarci del legame con Maria, Signora degli Apostoli, e di come e perché la preghiera può ispirare e aiutare la nostra vita missionaria.
Siamo nel mese di maggio, dedicato a Maria. La missione della vostra congregazione è affidata alla madre di Gesù, “Signora degli Apostoli”. Come vivi questo legame?
«È stato il nostro fondatore Padre Agostino Planque a porre l’istituto NSA sotto la protezione di Maria. Fu una profonda intuizione a guidarlo, mentre pregava nella Basilica dei Santi Apostoli a Roma, perché inizialmente eravamo conosciute come le suore della Società delle Missioni Africane, nate con l’obiettivo di aiutare i padri nelle diverse missioni. La nostra spiritualità è quella del Cenacolo, luogo ideale nel quale rivivere l’esperienza della prima comunità cristiana che qui “entra” per accogliere lo Spirito e da qui “esce”, diventata Chiesa, per portare nel mondo la “Buona Novella”. Da qui si può dire che è nata la Chiesa missionaria. La presenza di Maria crea uno “spazio” contemplativo: possiamo definirla una donna di preghiera e allo stesso tempo una donna di azione; è la donna del coraggio, è la donna del Magnificat. Come ha detto san Giovanni Paolo II nella Lettera Enciclica “Redemptoris Missio” anche il missionario deve essere sempre un contemplativo in azione».
Quando ti sei sentita chiamata alla vita religiosa? E cosa ti ha spinto verso la spiritualità NSA?
«Il fratello di mia madre è un missionario del Verbo Divino. Ha sempre lavorato in America Latina e, fin da quando eravamo bambini, ogni volta che tornava a casa ci raccontava delle sue missioni. Quindi, ho sempre desiderato diventare una missionaria però pensavo di partire come laica. Dopo la scuola secondaria, mi sono iscritta all’università ed ho studiato teologia. Quello che più mi interessava era l’impegno delle donne nella Chiesa. Poi, sono entrata in Concern, un’organizzazione di laici missionari, ma sentivo che non era la mia strada. Non era solo per promuovere lo sviluppo umano che volevo essere missionaria, sentivo qualcosa più forte, una chiamata alla consacrazione totale. A casa avevamo ricevuto una rivista della Società delle Missioni Africane, a cui qualche anno prima avevo scritto chiedendo se i miei studi teologici potevano essere utili in una missione, magari come insegnante. E loro mi avevano subito risposto di sì. Per cui, quando ho avvertito questa chiamata, non ho avuto dubbi: ho scritto solo a loro e a nessun altro. All’inizio pensavo che dopo un anno sarei tornata sui miei passi e invece sono qui oramai da ben 34 anni».
Il Cammino sinodale ci spinge a collaborare tutti insieme – consacrate, clero e laici – per la missione della Chiesa. Quale stile di collaborazione avete avviato con i laici?
«C’è sempre stata una forma di collaborazione. Fin dagli anni ’60, c’erano molti laici che partivano in missione con le nostre suore per prestare servizio nelle scuole e negli ospedali. Oggi c’è un altro tipo di collaborazione, credo ci sia un maggior livello di uguaglianza di ognuno con la sua vocazione, fondata nella fede. Possiamo e dobbiamo lavorare insieme perché ogni persona è una risorsa e una ricchezza. Abbiamo molto da imparare gli uni dagli altri. “Se vuoi andare veloce, vai da solo. Se vuoi andare lontano, cammina insieme”, recita un antico proverbio africano. Anche qui in Irlanda oggi c’è meno divisione tra i missionari e la chiesa locale e collaboriamo molto con i laici sia nell’ambito della giustizia, sia nel settore della comunicazione. Nel nostro convento di Ardfoyle ci sono diversi gruppi che utilizzano questo posto, come la Shep – Social and Health Education Project, un’organizzazione molto attiva sul fronte dell’ecologia integrale».
Laici, religiosi e missionari, modi diversi di donarsi a Dio. Come vivi la tua chiamata?
«Non so cosa sarebbe stato della mia vita se avessi fatto la scelta di diventare laica missionaria. Come religiosa, ringrazio Dio ogni giorno per questa chiamata, perché mi permette di essere veramente “contemplativa nell’azione”. Ogni volta che parto per una missione non so mai in quale comunità vivrò o quale sarà la cultura locale, ma posso dire che Dio è in ogni momento e in ogni persona. All’inizio ero entrata in questa congregazione perché volevo andare in Africa, invece la prima mia missione fu in Argentina. E solo dopo ebbi l’opportunità di partire per la Nigeria. In questi anni sono cresciuta molto nella vita religiosa, nella relazione con Dio e nel mistero di Dio, che è molto più grande della scatola in cui a volte vogliamo rinchiuderlo. Studiando missiologia ho sperimentato che la Chiesa incarna il Vangelo nelle diverse culture e che la missione della Chiesa deve essere svolta in conformità ai principi del dialogo con le culture e con le altre religioni. In questo modo c’è un’immersione più profonda nel mistero di Dio. Il dialogo interreligioso oggi è cruciale per costruire insieme la pace. Se non fosse stato per la mia chiamata alla vita religiosa, non avrei mai scoperto questo cammino. Ringrazio Dio ogni giorno per questo straordinario percorso di vita».
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