Il missionario della Società delle missioni africane (Sma) a Niamey, capitale nigerina, commenta la scelta del nuovo inno nazionale per celebrare i 63 anni di indipendenza dai coloni francesi.
Il precedente si chiamava La Nigerienne ed era considerato come l‘inno nazionale’. Gli anni dell’indipendenza avanzano e il prossimo 3 agosto saranno 63, più della speranza di vita dei cittadini, che si attesta sui 58, donne comprese. L’Assemblea Nazionale, qualche giorno fa, ha ratificato la scelta del nuovo inno che sostituisce ciò che cantavano i bimbi a scuola, prima degli avvenimenti sportivi e nelle molteplici occasioni ufficiali. L’inno soppresso era stato scritto nel 1961 da un compositore francese di nome Maurice Albert Thiriet e sembrava inadatto a rappresentare quanto il Paese ha nel frattempo vissuto.
Lo ricordava lo scrittore inglese George Orwell nella sua opera più conosciuta , 1984. ‘Chi ha il potere sul presente ha il potere sul passato e chi ha il potere sul passato ha il potere sul futuro’. L’idea del nuovo inno, infatti, scaturisce dal malessere di una post indipendenza che l’inno non aveva saputo intravvedere, marcato com’era dallo spirito del tempo. Il testo parlava infatti di ‘fierezza e riconoscenza per la nuova libertà’ come se essa fosse stata il frutto di un prodigo dono del potere coloniale. Il un contesto nel quale si sente con una certa insofferenza la presenza del ‘padre-padrone’ francese ciò è apparso inaccettabile.
Il cammino della Repubblica nel contesto di insicurezza generalizzata dei Paesi limitrofi e all’interno del Paese stesso, ha spinto i legislatori a creare una commissione che rivedesse testo e musica dell’inno classico per modellarlo sulle nuove sensibilità. Non casualmente, dunque, il testo in questione parla di fratelli e sorelle come figli di una stessa Patria che, per l’onore della stessa, incarnano la forza, la perseveranza e tutte le virtù degli antenati, guerrieri intrepidi, determinati e fieri. La difesa della Patria al prezzo del sangue perché il Niger diventi un simbolo di dignità, come un emblema dell’Africa che cresce.
L’inno termina con l’invito accorato a portare in alto la bandiera del Paese perché sotto il cielo dell’Africa e altrove si costruisca assieme un mondo di giustizia, di pace e di progresso. Allora il Niger, Pese di pace, libero, forte e unito sarà la fierezza dell’Africa. Proprio in questo, secondo gli autori del testo, consiste l’onore della Patria, che offre il titolo all’inno della Repubblica. Una Repubblica fondata sull’onore dovuto ai propri cittadini a cominciare da coloro che ancora non hanno scoperto di esserlo. L’inno nazionale si è dunque trasformato in ‘Inno della Repubblica’ e dunque in un’entità che si vuole fondata sulla sovranità.
Quest’ultima, come dappertutto, è latitante perché confiscata, espropriata o svenduta molto spesso proprio da coloro che avrebbero potuto e dovuto garantirla. La classe politica e quella intellettuale, oltre che quella dei Grandi Commercianti del Sistema di spogliazione e spossesso che ne sono, in realtà, i principali fautori e complici. L’onore, la dignità e la sovranità non sono separabili e costituiscono, assieme, la ragione d’essere della Repubblica in quanto ambito nel quale il bene dei deboli e dei poveri sia salvaguardato e promosso. L’onore della Patria implica il riconoscimento effettivo e, dunque politico, dell’onore riservato a coloro ai quali è stato finora negato. Quando anche i figli dei poveri saranno sovrani e rispettati cittadini della Repubblica, allora l’inno potrà essere cantato senza vergogna.
Mauro Armanino, Niamey, 2 luglio 2023
Foto: NigerTZai, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons