30 anni fa Cosa nostra eliminava Padre Pino Puglisi, oggi Beato e martire, che dedicò la sua missione evangelica alla lotta contro i clan e all’offerta di una speranza ai giovani del quartiere Brancaccio a Palermo. Il ricordo del sacerdote attraverso le parole di Maurizio Artale, presidente del Centro Padre Nostro, fondato proprio da don Puglisi.
Intervista a cura di Anna Moccia
“Non ho avuto il privilegio di conoscere personalmente Padre Pino Puglisi, ma ho avuto l’opportunità di vederlo brevemente nel giugno del 1993 durante una processione eucaristica a Brancaccio. La sua presenza e il suo impegno mi fecero un’impressione estremamente positiva. Pochi mesi dopo, la notizia della sua tragica uccisione raggiunse le pagine dei giornali, e immediatamente decisi di recarmi sul luogo per cercare informazioni. Mi rivolsi al suo successore, don Mario Golesano, che era stato anche il mio padrino di cresima. Gli chiesi se c’era bisogno di una mano, e lui mi rispose: “Ci sarà tanto bisogno di mani”. Da lì ho capito che dovevo impegnarmi e sono a Brancaccio da 30 anni.
La vera forza di Padre Puglisi risiedeva nella sua incrollabile coerenza nel professare e vivere gli insegnamenti del Vangelo. Una qualità tanto rara all’epoca quanto lo è oggi, sia all’interno della politica sia all’interno della Chiesa o nella società civile. Ciò che mi ha colpito profondamente di lui è stato il fatto che, ovunque andassi a Brancaccio, sembrava esserci sempre qualcuno che poteva dire: “L’ho conosciuto, mi ha unito in matrimonio, mi ha battezzato”. In quel momento, ero scettico sulla possibilità che avesse davvero conosciuto così tante persone. La realtà, però, era che Padre Puglisi era una persona sempre in movimento, la sua vita era interamente dedicata al servizio degli altri. Era incapace di pronunciare la parola “no”, perché credeva che se il Signore lo aveva condotto in una determinata situazione, significava che doveva incontrare quella persona in quel preciso momento”.
Padre Pino Puglisi, affettuosamente chiamato “3P” dai suoi alunni, aveva tentato di restituire dignità al quartiere, nel quale non c’erano teatri, cinema, servizi per i giovani. Oggi a Brancaccio cosa è cambiato? Quali sono i frutti dell’azione di don Puglisi attraverso il centro Padre Nostro e quali attività svolgete nel quartiere?
“Al suo arrivo a Brancaccio, la prima affermazione di Padre Puglisi fu: “È più facile dire ciò che c’è qui piuttosto che ciò che manca, perché qui a Brancaccio manca tutto”. Inizialmente mancava persino una scuola media. Tuttavia, il suo primo impegno fu quello di stabilire una comunità ecclesiale solida. La mafia capì che c’era la volontà di costituire questo organismo che in qualche modo voleva far valere i propri diritti e questo fu uno dei tanti motivi per cui venne ammazzato.
Oggi, dopo 30 anni, cosa caratterizza Brancaccio? C’è lo spirito di Padre Puglisi nelle pietre di Brancaccio perché molti luoghi sono stati ristrutturati e in qualche modo vocati ai servizi. Ad esempio, abbiamo recuperato un vecchio mulino del sale che oggi è la sede di un centro antiviolenza, abbiamo ristrutturato un vecchio caseggiato dove oggi vengono accolte mamme vittime di abusi e maltrattamenti e abbiamo ridato vita a 7.000 metri di terreno, che prima era una discarica, trasformandolo in un centro sportivo per i bambini, i ragazzi e le famiglie di Brancaccio. Un altro insegnamento di Don Puglisi è stato quello sui diritti. Lui diceva: “Non dobbiamo chiedere per cortesia quello che ci spetta per diritto”. Ed è quello che abbiamo fatto in tutti questi anni”.
Altri sacerdoti coraggiosi, tra cui Maurizio Patriciello e don Luigi Ciotti, vivono sotto scorta e rischiano continuamente la vita durante la loro missione nelle periferie. Lei stesso ha subito più volte minacce e intimidazioni ma continua ad andare avanti. Quanto è importante oggi il vostro impegno?
“È di fondamentale importanza intervenire ma è altrettanto essenziale coinvolgere tutti quanti. Se ognuno contribuisce con il proprio impegno, possiamo alleggerire il peso che grava solo su poche persone, poiché, sebbene siano sacerdoti, non è loro missione farsi ammazzare. Personalmente, in quanto laico, ho scelto di impegnarmi e mi sento profondamente coinvolto nella missione che il Signore mi ha chiamato a svolgere a Brancaccio. Lo faccio con dedizione ma è fondamentale che ciascuno dia il proprio contributo. Insieme, io e tanti altri, possiamo ridurre i rischi e, soprattutto, c’è quella corresponsabilità nell’arrivare tutti al medesimo obiettivo”.
Scrive di sé su un blog: “Viaggio molto per portare la testimonianza dei valori incarnati da Don Puglisi e per conoscere tutto ciò che può essere utile a dare il mio contributo per migliorare Palermo, dove ritorno sempre. Dentro una mongolfiera di carta pesta, appesa al tetto della mia piccola stanza al Centro di accoglienza Padre Nostro, coltivo sogni e tendo a realizzarli”. Ecco, Vorrei concludere l’intervista proprio parlando dei sogni. Qual è il sogno che oggi porta nel cuore per i giovani di Palermo?
“Il mio sogno per i giovani di Palermo, e in particolare per quelli di Brancaccio, è di poter vivere in un quartiere accogliente, ricco di spazi in cui possano interagire e condividere esperienze. Con grande soddisfazione, ieri l’amministrazione comunale ha dato il via libera alla realizzazione di una piazza, un luogo cruciale di incontro per i giovani. Inoltre, siamo in procinto di avere un asilo nido e un poliambulatorio di prossimità, poiché fornire servizi sanitari soprattutto ai più poveri è altrettanto essenziale. Questa è la Brancaccio che sogno: un luogo in cui tutti possano camminare tra i vari servizi e, incrociandosi, si scambino sorrisi, seguendo l’esempio di Padre Puglisi”.
Foto: Ansa/Michele Naccari