«Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». Siamo nella logica dell’incarnazione. Per noi missionari, in questa 97esima giornata missionaria mondiale, queste parole di Gesù invitano a prendere sul serio il movimento dell’incarnazione, del condividere la vita di un popolo, rispettandone le leggi e i costumi. La meditazione Teresina Caffi*, missionaria Saveriana e biblista.
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 22,15-21)
In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
Parola del Signore
Pienamente umani, pienamente cristiani. Commento al Vangelo
Benché non affini, Farisei ed Erodiani si accordano per tendere un tranello a colui che considerano il loro avversario comune, Gesù. Formulano una domanda astuta, capace di incastrare chiunque: «È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Pagarlo significava essere, come i Farisei e gli Erodiani, acquiescenti al dominio di Roma, i primi per evitare guai ulteriori al popolo d’Israele, i secondi perché Erode riceveva il suo potere da Roma. Non pagarlo significava essere, come gli Zeloti, ribelli fuorilegge.
Da buon figlio della sua cultura, Gesù risponde alla domanda con una domanda, per poi dare una risposta che spiazza i suoi interlocutori. Poiché la moneta che gli mostrano porta l’effige di Cesare – si tratta di Tiberio allora imperatore – non hanno che da rendergli il suo. E coglie l’occasione per aggiungere un imperativo che fa della sua risposta un percorso di vita: «Date a Dio quel che è di Dio».
La risposta di Gesù ai discepoli dei Farisei e agli Erodiani ha fatto pensare lungo i secoli e lascia ancor oggi pensosi. Gesù – Matteo lo sottolinea – si era sottomesso a molte consuetudini e anche alle misure politiche del suo tempo. Non doveva essere battezzato da Giovanni, ma gli dice: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia» (Mt 3,15). La «tassa per il tempio» (Mt 17,24-27), Gesù non dovrebbe pagarla, ma «per non scandalizzarli», la paga per sé e per Pietro. Luca ricorda che era nato mentre i suoi erano in viaggio per il censimento. Era passato per tutte le pratiche religiose del suo ambiente (circoncisione, pellegrinaggio a Gerusalemme a 12 anni).
Gesù non era un asociale, uno che pensava che il mondo cominciasse da lui, che disprezzava consuetudini e leggi sociali, politiche o religiose. Al contempo, immetteva nel consueto un modello di vita nuova inaudita, che poneva la persona e soprattutto “il piccolo”, al centro, al di sopra di tutte le leggi umane e divine. Su piano religioso, partecipava ai pellegrinaggi, rispettava il culto ebraico, ma ribaltava una visione religiosa divenuta oppressiva e funzionale al guadagno.
Forse non siamo ancora giunti a comprendere profondamente la risposta di Gesù. Su di essa è stata fondata la laicità dello Stato. Non nasciamo nel deserto, ma in una società organizzata. C’è una serie di adempienze che fanno parte del patto di vivere insieme: cercare e presentare dei documenti, partecipare alla vita sociale e politica, rispettare la nostra casa comune, votare, pagare le tasse, le bollette, rispettare le leggi della strada, le date d’inizio della scuola, gli orari e le leggi del lavoro.
Bisogna essere giusti nella nostra appartenenza a questa umanità, a una data società, anche alle sue strutture politiche. Fin dove? Ecco la seconda parte della risposta di Gesù: «Date a Dio quel che è di Dio». Cesare ha i suoi diritti e Dio ha i suoi. Così rispettoso da condividerli con Cesare.
Chi vuol obbedire solo a Dio, al proprio Dio, rischia di prendere la strada dell’asocialità, dell’ingiustizia, di prendere della società solo ciò che gli conviene (assistenza, protezione…) ed ergersi a padrone assoluto della propria vita, disprezzando chi umilmente si sottopone anche agli oneri del vivere insieme: le file, le tasse, l’informazione, il voto, il tempo speso.
Bisogna assicurare una sana normalità, una semplice fedeltà agli obblighi sociali, per poter, in questo contesto di umanità e socialità condivisa, vivere e proporre uno stile nuovo liberante, una vita interamente donata a Dio, perché a lui appartiene. Non è possibile pregare il rosario e gettare la spazzatura non importa dove; essere devoti e disprezzare per principio la politica; dire di amare il prossimo e ignorare le leggi sui salari, schivare le tasse; dire di amar Dio e corrompere.
Siamo nella logica dell’incarnazione. Per noi missionari, in questa 97esima giornata missionaria mondiale, queste parole di Gesù invitano a prendere sul serio il movimento dell’incarnazione, del condividere la vita di un popolo, rispettandone le leggi e i costumi; assumere la sua “buona educazione”.
Per la Chiesa in generale, non pretendere più regimi di privilegio, condividere con tutti quell’umanità nella quale soltanto allora può far brillare l’unicità del Vangelo. A me sembra che il Vangelo di oggi ci inviti ad essere normali, a non fare mai del nostro credere un motivo di privilegi. Solo allora potremo mostrare e dire la parola unica del Vangelo.
* Missionaria saveriana, Teresina Caffi è nata nel 1950 a Pradalunga (BG), entra ventunenne fra le missionarie di Maria – Saveriane, a Parma. Licenziata alla Gregoriana in teologia biblica, ha svolto la sua missione prima in Burundi e poi nella Repubblica Democratica del Congo, dove si reca sei mesi l’anno per corsi.