Il 22 dicembre la Chiesa celebra santa Francesca Saverio Cabrini, nativa di Sant’Angelo nel Lodigiano e fondatrice delle suore missionarie del Sacro Cuore di Gesù. La incontriamo in una delle nostre “interviste impossibili”, sorpresi da una vita tanto piena e avventurosa, che l’ha portata ad attraversare l’Oceano Atlantico ben 19 volte per raggiungere l’America.
di Geraldine Schwarz
La prima cittadina “americana” ad essere dichiarata santa nel 1946, la prima ad aver fondato una congregazione religiosa femminile indipendente da un ramo maschile e per di più missionaria, novità assoluta per l’epoca in cui ha vissuto. Dichiarata Patrona celeste degli emigranti da Pio XII, a lei si è ispirata Madre Teresa di Calcutta nella sua missione con i poveri e ancora oggi, la sua vita, racconta di una modernità, un carattere e una profondità spirituale che sorprende chi la conosce solo oggi.
Il 22 dicembre la Chiesa celebra la memoria di santa Francesca Saverio Cabrini, originaria di Sant’Angelo nel lodigiano, fondatrice delle suore missionarie del Sacro Cuore di Gesù e conosciuta da tantissimi emigranti come la santa degli italiani per la sua opera con gli italiani “nelle Americhe” a cavallo del novecento. È descritta come una piccola donna di statura e apparentemente fragile di salute, magrissima ma dal carattere temprato dall’affidarsi pienamente in Dio.
Anche Papa Francesco in occasione del primo centenario della sua morte ha sottolineato l’attualità del suo carisma e della sua santità tale per il suo totale affidamento a Dio. La incontriamo in una delle nostre “interviste impossibili” per conoscerla meglio, stupiti da una vita tanto piena e avventurosa, che lei stessa ha raccontato nelle tantissime lettere e relazioni dai suoi viaggi che scriveva alle sue “figlie” e sorelle con un compito di formazione materna e per rimanere con loro unita davanti al cuore di Gesù nonostante per 19 volte abbia attraversato l’Oceano Atlantico per raggiungere l’America e per due abbia costeggiato il Pacifico.
Madre Cabrini, una vita davvero avventurosa la sua, voleva andare missionaria in Cina come avrebbe voluto anche san Francesco Saverio del quale ha preso anche parte del nome e di cui voleva seguire le orme, e invece, è diventata la patrona celeste degli emigranti, soprattutto degli italiani che a tra ‘8oo e ‘900 cercavano fortuna in America, come è avvenuto questo cambio di programma?
Andare in Cina era un mio desiderio, sì è vero, da quando ero piccola ma il piano di Dio su di me era un altro evidentemente. Spero di averlo realizzato, almeno in parte. Dall’Oriente che sognavo, Dio, attraverso la mano della Chiesa, del vescovo di Piacenza, monsignor Scalabrini e del Papa Leone XIII, mi ha chiesto di fare apostolato nel vastissimo, estremo Occidente, nelle Americhe e con incursioni in Europa. Sono andata per gli italiani. Tra il 1876 e il 1924, infatti, furono quasi 18 milioni gli italiani che emigrarono verso questi luoghi lontani. Le loro condizioni di vita erano pessime, venivano chiamati barbari, erano ai margini della società, facevano lavori da schiavi, erano ghettizzati e stavano perdendo l’educazione, la salute e la vita. Non avevano più l’orizzonte perché dimentichi del nobile principio che li aveva allevati, la Religione, la fede in Dio. Per questo, la Chiesa, preoccupata della vastità del fenomeno ha incoraggiato la presenza di missionari.
Sono partita la prima volta il 23 marzo 1889 dal porto di Le Havre per arrivare a New York il 31 marzo. Poi la mia missione si è estesa anche ad alcuni luoghi dell’America del Sud al Brasile all’Argentina e nel 1909 ho preso la cittadinanza americana per dare l’esempio ad altri italiani. In America ho trovato davvero una situazione inaspettata. Con alcune delle altre sorelle della congregazione del Sacro Cuore di Gesù che avevamo fondato 10 anni prima di partire, abbiamo cominciato a vivere tra gli italiani in questi ghetti di piccole Italie e per prima cosa abbiamo cominciato a togliere i bambini orfani dalla strada. Erano migliaia. All’inizio non era ben vista la nostra presenza, proprio per l’opinione che la gente aveva degli italiani. Sentivo i commenti dietro di noi che dicevano: Ma dove vanno queste missionarie proprio tra gli italiani che oggi sono peggiori degli altri, sprezzatori della Religione e della fede? Questo mi feriva molto nell’amor di patria che era un giorno fiorente e modello di vera religione.
Anche l’arcivescovo di New York provò a rimandarci indietro ma io ormai avevo visto le condizioni dei nostri connazionali e non potevamo fare finta di niente, erano sull’orlo del precipizio. Confidai nel Signore anche in quell’occasione. Noi non siamo nulla ma con Dio possiamo tutto, è questo che ho sempre cercato di insegnare alle mie sorelle e che ha guidato la nostra opera. Grazie a Dio e alla Provvidenza, che si è servita del nostro lavoro, in 28 anni di missione sono nati orfanatrofi, scuole, ospedali, oratori e sanatori.
Come nasce la sua Vocazione?
Penso che la mia vocazione sia nata tra le mura domestiche. È stata una cosa naturale che è cresciuta con me. Sono nata il 15 luglio 1850 a sant’Angelo Lodigiano, un piccolo paese in Lombardia. Sono la decima di undici figli e la mia era una famiglia semplice e molto cattolica. Mio padre Agostino, cugino di Agostino Depretis, che poi divenne Presidente del consiglio dei ministri, lo chiamavano il cristianone proprio per la sua devozione. In casa pregavamo ogni giorno e sempre abbiamo frequentato la messa domenicale. La sera poi, spesso leggevamo gli Annali della propagazione della Fede con le storie dei missionari e sicuramente quelle pagine mi sono entrate nel cuore. Mia madre badava a noi figli e io sono stata seguita molto da mia sorella maggiore Rosa, che ho preso come esempio anche per l’insegnamento.
Un momento che ricordo con molta gioia fu il giorno della Cresima, era il 1° agosto 1858 ed ho sentito il cuore pieno di una gioia purissima, sono certa che era la prima volta che sentivo chiara la presenza dello Spirito Santo. E quel gusto, quella pace ha condotto il mio cuore a ricercare sempre quell’unione con Gesù Cristo. Prima di arrivare a fondare la congregazione delle salesiane missionarie del Cuore di Gesù, che è nata nel 1880, ho insegnato catechismo in una scuola elementare e prestato servizio in un Orfanatrofio a Codogno.
Quali sono gli insegnamenti principali e le caratteristiche delle suore missionarie del Cuore di Gesù, cosa ha voluto trasmettere alle sue sorelle e figlie in Cristo?
Sul nostro stendardo di congregazione sta scritto: Imitazione di Cristo; abnegazione dell’amor proprio; custodia del cuore; i tre sacri vincoli dell’obbedienza, della povertà, della castità. il Cuore di Gesù è nostro divino modello di perfezione, che deve essere conseguita con le vittorie dell’amor proprio e con la guardia del proprio cuore e vigilanza sugli affetti e sul trattare con gli altri. Noi dovremmo distaccarci da tutto e da tutti, da noi stesse e dai nostri desideri, che potrebbero turbare la nostra quiete e amare Gesù, cercare Gesù, parlare di Gesù e far conoscere Gesù e la sua Bontà infinita. Vorrei percorrere tutta la terra per palesare a tutti l’amore suo prodigioso per la sua creatura. Da qui il nostro correre per il mondo per glorificare il Signore facendolo conoscere e portandone il conforto agli uomini. Dobbiamo avere il dono dell’Umiltà per fare questo e io sono grata a Gesù perché mi fa conoscere tutta la mia miseria perché io impari a diffidare sempre più di me e a confidare pienamente nel suo aiuto e abbandonarmi al suo amatissimo Cuore.
Il cuore dovrebbe essere scevro da ogni attaccamento agli affetti o alle cose del mondo. Ogni sua ricchezza e pace e felicità per noi si trova in Cristo, ma le suore missionarie devono imparare a fare tutto e quante più mansioni, anche i lavori di muratura se necessario, devono essere nel mondo ma non del mondo. Contemplazione e azione, semplicità e purezza d’animo, distacco da tutto e abbandono in Dio. Ecco alcune cose che ho cercato di condividere con le mie figlie e sorelle missionarie.
New York, Panama, New Orlean, Buenos Aires, Rio De Janeiro, in Nicaragua e poi tra le dame di Londra e Parigi, tra gli italiani in America e tra i mosquitos. Il suo andare fu inarrestabile e animato dalla corsa e in ogni luogo è riuscita a lasciare una casa, un’opera di accoglienza, un servizio dedicato. Come ha fatto e non era mai stanca?
Io ho corso la terra e ho salpato i mari è vero, con la rapidità permessa dal progresso e dalla scienza che provvedeva ogni giorno più lesti vapori, ma credetelo sono stati voli di corpi pesanti rispetto alla rapidità con la quale ha lavorato il Cuore Santissimo di Gesù nella sua vigna a noi affidata. A volte il mondo mi sembrava piccolo per contenere il desiderio di portare l’amore di Cristo a tutti coloro che sembravano averlo perso e per la salvezza della loro anima. La stanchezza è passata nell’azione e riposando nel cuore di Gesù. Era lui che mi animava di ardore e vivacità.
Dicono che il suo fu un modo nuovo di aiutare, chiedeva aiuto ma nella forma di investimenti con la garanzia che l’investimento, oltre a far del bene, avrebbe generato introiti per nuove opere.
Si, è vero, in America erano molto pratici e capii che avevano un’altra mentalità rispetto a noi, e volevano essere coinvolti, anche per favorire l’integrazione degli italiani. Era molto importante fare opere che fossero utili anche agli americani, opere anche belle e ben funzionali in zone strategiche non solo per la comunità italiana ma per l’intero tessuto sociale. Volevo che gli italiani uscissero dai ghetti e per far questo dovevo portartli negli stessi luoghi che frequentavano gli altri. Nacque così ad esempio il Columbus Hospital, che offriva ottimi servizi a pagamento in belle strutture che attraevano i ricchi, così da poter assistere gratuitamente anche gli immigrati italiani.
È difficile raccontare tutto il bene che Madre Cabrini fece durante i 37 anni di missione. Bisognerebbe affacciarsi dall’altra parte dell’Oceano e sentire qualche italo americano. Negli ultimi anni della sua vita, tra un viaggio e l’altro tra l’Europa e l’America, le suore si dedicarono ai carcerati italiani che non si sapevano difendere perché non conoscevano la lingua locale. Le suore fecero riaprire alcuni processi e li misero in contatto con le loro famiglie. L’Ultima tappa del suo viaggio terreno fu Chicago, il Columbus Hospital che aveva contribuito a fondare, dove morì il 22 dicembre del 1917 a 67 anni. Lasciava in eredità 67 fondazioni e circa 1.300 suore.
Oggi le suore missionarie del Sacro Cuore di Gesù operano in sei continenti e in sedici Paesi del mondo, dove portano avanti lo spirito e il carisma di Madre Cabrini con i poveri, gli svantaggiati e persone di ogni colore, nazionalità e lingua.
In Italia, una sua statua è nella Basilica di san Pietro a Roma e un’altra sulla guglia del Duomo di Milano. In America, a New York a nord di Manhattan, il Cabrini Boulevard conduce al reliquario che contiene il suo corpo.
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Crediti foto: Mother Cabrini – Film (screenshot)