Il suo è stato il primo “si” da consacrata della Fraternità del Sermig, un vero e proprio Arsenale della Pace impegnato da oltre 40 anni a servizio degli ultimi e dei giovani.
di Geraldine Schwarz
“I giovani sono il cuore dell’Arsenale e sono la nostra prima missione”. A parlare è Rosanna Tabasso, 67 anni, presidente del Sermig. Del resto il Sermig, nato da Ernesto Olivero e da sua moglie Maria e da un pugno di giovani nel 1964, attorno ad un ex arsenale di armi trasformato in luogo di pace e accoglienza, ha proprio questo nel suo acronimo, Sermig sta per: Servizio, Missionario, Giovani. Ed è proprio questo che con l’evidente aiuto della Provvidenza continuano a fare da più di 40 anni tutti quelli che gravitano attorno agli Arsenali che oggi sono ben quattro. Oltre a quello di Torino, casa madre, sono nati negli anni e grazie al sostegno di tanti, quello in Brasile, in Giordania e l’ultimo nato, che è l’Arsenale dell’Armonia a Pecetto in provincia di Torino.
Rosanna Tabasso, più che la presidente di questa fraternità multiforme (anche se da tre anni ricopre questo ruolo ufficiale) è “la mamma” del Sermig. Il suo è stato il primo “si” da consacrata del Sermig in questo spazio dell’Arsenale della Pace, in piazza Borgo Dora a Torino. Aveva 15 anni quando si avvicinò al gruppo storico e ad Ernesto. Come lei stessa racconta: “ho vissuto qui tutta la mia vita e conosco tutti i muri di questo luogo. La dimensione di maternità è stata una conseguenza quasi inevitabile, per il rapporto con il territorio, con le tante persone che sono passate da qui e con quelle che si sono fermate da noi.”
Oggi il Sermig è una realtà, una Fraternità della Speranza che conta poco più di 40 consacrati tra uomini e donne, una serie di famiglie che hanno detto sì nello stesso spirito e 7 sacerdoti che si sono formati qui e che oggi accompagnano la fraternità e seguono alcune parrocchie affidategli dal Vescovo di Torino.
Qual è oggi la missione del Sermig?
“Quando siamo nati nel 1964 lo scopo era essere un gruppo di supporto ai missionari per sconfiggere la fame nel mondo. Da quando siamo all’Arsenale che è anche un luogo in una zona difficile della città, la nostra missione è diventata anche quella di contribuire a tirar fuori la speranza sopita nel cuore della gente. Siamo nati negli anni del Terrorismo e le persone che ci avvicinavano avevano problemi a sopravvivere e emergeva in loro un bisogno di speranza. L’uomo ha bisogno di una casa, di scuola, lavoro, di essere amato ma alla fine ha bisogno di Dio come ragione della speranza. Da allora ci siamo aperti ai bisogni di chi bussava alla nostra porta ma i giovani sono rimasti una costante. All’inizio eravamo giovani anche noi, oggi ci mettiamo al loro fianco per accompagnarli. Da dopo il Covid poi abbiamo sentito forte la necessità di aprirci all’esterno e oggi l’Arsenale è sempre più fuori. È una porta spalancata sulla piazza.
Lavoriamo in un territorio difficile. Il Vescovo ci ha assegnato due parrocchie in zone critiche verso la Barriera di Milano. Abitiamo queste zone per fare da argine e da sostegno. Abbiamo investito molto sullo sport, e sulla musica. In un ex area di spaccio abbiamo costruito un palazzetto dello Sport che con diversi sport proposti, aggrega molti bambini e anche grazie alla nostra Orchestra giovanile di Musica è diventata una bella realtà. Le nostre energie sono impegnate a formare i giovani sin da quando sono piccoli. Una delle nostre costanti è l’Arsenale della piazza, con aiuto allo studio e attività rivolte ai bambini della zona di cui molti sono stranieri. Cerchiamo di farli sentire accolti nonostante le differenze e di far sperimentare loro l’amicizia.
In che modo accompagnate gli altri giovani, quelli che non vivono a Torino?
Intanto li invitiamo da noi. Ogni anno, prevalentemente in estate, migliaia di giovani provenienti da tutte le regioni italiane vengono da noi a trascorrere qualche settimana. Sono studenti delle medie e delle superiori e non vengono in vacanza, vengono qui ad affiancarci nella vita quotidiana nei diversi servizi che facciamo per il bene degli altri. Facciamo provare loro la bellezza di essere coinvolti e di mettersi a servizio, per il bene di qualcun altro. Nel 2023 abbiamo accolto circa 15mila giovani. Poi circa 250 giovani ci aiutano stabilmente come volontari. Da noi c’è sempre qualcosa da fare. Abbiamo fatto tutto quello abbiamo fatto solo e sempre con l’aiuto di tutti. Il vero obiettivo è far crescere nei giovani è la responsabilità del territorio in cui vivono. Al Sermig diciamo spesso che “il tuo metro quadrato dipende da te”, sono i giovani in prima persona che devono attivarsi per risvegliare le loro comunità, lì dove vivono. E in tanti rispondono a quest’invito. Abbiamo diversi esempi virtuosi di ragazzi che collaborano con noi da anni ed hanno creato delle belle realtà dove vivono. A Mori, in Trentino o a Camisiano e anche a Bonate ad esempio, vicino a Bergano, un gruppo di ragazzi ha realizzato una cosa importante per i giovani e per i poveri in collaborazione con la Caritas, da un lato si aggregano tra loro, dall’altro, aiutano chi ha bisogno. L’Arsenale vuole essere una casa ma soprattutto un motore per altre iniziative.
Tu di cosa ti occupi, qual è il tuo ruolo?
Tre anni fa mi sono ritrovata eletta presidente del Sermig. Ernesto Oliviero, attorno al quale è nato tutto questo, ha deciso di dimettersi in una notte. E in poco tempo mi sono ritrovata eletta formalmente. Mio compito sento che è quello di tenere unita questa fraternità, questo “popolo” di volontari, di rimanere fedele ai doni ricevuti dal Signore ma anche essere attenta ad ascoltare i segni dei tempi.
Dov’è la preghiera al Sermig?
Direi nella vita quotidiana. La vita dell’Arsenale è articolata attorno alla chiesa, dedicata a Maria, madre dei Giovani che è stato il primo spazio che abbiamo creato durante la ristrutturazione. Siamo cresciuti grazie alla preghiera ed è dalla preghiera che ci arrivano grazie, intuito e capacità di ascolto. Ora abbiamo una grande chiesa con circa 600 posti dove accogliamo anche la comunità della città durante le celebrazioni ufficiali. Ma tutta la vita della fraternità è articolata attorno alla preghiera, comunitaria e non. Nel tempo, abbiamo capito che la nostra preghiera è quella di vivere la presenza di Dio nel quotidiano. È la Sua presenza che ci aiuta a dare vita. Questo è il cammino di formazione che cerchiamo di fare. L’imprevisto accolto è il segno del passaggio di Dio. E noi cerchiamo di interpretare cosa Dio voglia da noi ogni giorno. Se non sei in dialogo con Dio però non senti niente e invece noi abbiamo bisogno di ascoltare per lasciarci portare da Lui, lì dove non sappiamo. Personalmente poi prego la mattina con un tempo di silenzio e con la Parola di Dio, prima dei momenti comunitari e la sera. Mi aiuta molto anche la preghiera del Rosario; Maria è il tramite di tutte le necessità, personali, della Fraternità, delle persone che si rivolgono a noi anche per chiederci un aiuto di preghiera. L’Eucarestia quotidiana è la sorgente viva a cui attingere ogni giorno e insieme mi aiuta a tenere lo sguardo fisso sull’Oltre. È lì, con il Signore, che riordino le priorità. Per gli ospiti la chiesa è aperta ma ovviamente è un momento facoltativo di scelta personale.
Cosa consiglieresti ad un giovane che vuol scoprire la sua missione?
“Quello che dico sempre ai giovani che vengono qui è che devono coltivare un desiderio, scoprirlo, perseguirlo e metterlo a servizio. Tutti abbiamo la possibilità di metterci in gioco completamente, ed è necessario trovare questa ragione di vita che ci muove. Camminare verso il proprio desiderio per il bene di altri. Questo è quello che vorrebbe Dio da noi. Dio non fa nulla senza di noi, ma nemmeno noi, senza di Lui, facciamo molto di buono. Per questo è importante offrire alle giovani possibilità perché si sperimentino, si scoprano e poi ci aiutino ad aiutare. Quando si sentono utili e mettono i loro doni a servizio per gli altri rivelano tutta la loro Bellezza. Sono loro il Sermig di domani.