Le Palme festose e l’asinello. Commento al Vangelo

Guardando come Cristo «si è caricato delle nostre sofferenze», il Vangelo di oggi ci invita a essere una Chiesa-puledro, che porta Cristo al mondo e il mondo ferito a Cristo. Meditazione per la Domenica delle Palme a cura di sr. Maria Rosa Venturelli, missionaria Comboniana.

Vangelo dell’ingresso del Signore – marco 11, 1-10

Il peso della separazione da dio il messia lo carica su di sé

Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”». Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono.
Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare. Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi.
Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!

Dal capitolo 11 inizia per Marco una settimana decisiva, l’ultima della vita terrena di Gesù, scandita con precisione sempre più insistente, in giorni ed ore che narra l’evento centrale del suo Vangelo: la morte di Gesù sulla croce e poi la sua risurrezione.

Marco colloca Gesù che viene da Gerico, dove ha compiuto l’ultimo miracolo di guarigione, quindi siamo in un ambiente geografico molto preciso, tenendo conto anche dei luoghi in cui si svolgerà la Sua azione evangelizzatrice l’azione d’ora in poi: Gerusalemme, il centro della vita cultuale e nazionale e i villaggi limitrofi: Betania – luogo di appoggio nel suo soggiorno presso la città santa – e Bètfage – posta tra le due località precedenti); infine il monte degli Ulivi.

Marco concentra la sua attenzione sull’identità di Gesù con il riferimento apparentemente marginale della cavalcatura che gli serve per entrare in città. L’evangelista spende ben 7 versetti per parlarci dell’animale che Gesù utilizza per il suo ingresso nella città santa, un puledro, un asinello dirà invece l’evangelista Matteo.

Un fatto analogo, apparentemente privo di significato, ma a cui è dato ampio spazio, è narrato in Mc 14,12-16, quando i discepoli saranno incaricati di preparare la pasqua (ossia la cena pasquale con il Maestro). In realtà il brano racchiuso tra il 2° e il 6° versetto ha molte risonanze messianiche:

Gesù cavalcando un asinello si mostra come colui che realizza diverse profezie legate al re Messia (Zc 9,9;14,4-5; Gn 49,9.11), mentre i vv. 7-8 si riallacciano ad episodi dell’AT di intronizzazione (1Re 1,30-40; 2Re 9,13).

Una domanda può venirci spontanea: perché Gesù si serve di un asinello?

Questo indica un bisogno: il Signore ha bisogno dell’aiuto dei discepoli che glielo procurano, e anche della disponibilità dei proprietari. La sua non è una signoria regale, è al contrario.

Vi è pure una novità in quanto l’animale è giovane e su di esso nessuno è ancora salito; il giungere del suo regno, di Gesù come Messia non si impone, egli compie le profezie senza clamore e senza pretese. Cioè abbiamo una promessa perché tutto ciò che Gesù dice si compie puntualmente (cfr. anche 14,12-16); i lettori di Marco sono invitati a riflettere su quanto accade e a considerare che il senso degli eventi è più profondo di quanto si potrebbe pensare ad uno sguardo superficiale.

Quello di Gesù non è un ingresso come tanti, lui non è un pellegrino qualsiasi che si reca nella città santa per la Pasqua, ma qualcosa di più. L’evangelista lo presenta come il Messia che fa il suo ingresso solenne come gli antichi re; è probabile che Gesù abbia voluto compiere questo gesto simbolico al suo ingresso in Gerusalemme, per indicare la sua identità e il senso di quanto gli stava per accadere, il senso della sua missione e della sua prossima morte.

Dopo che Gesù è salito sul puledro l’attenzione si sposta da lui a quanto accade intorno a lui; sugli astanti che gettano i mantelli sul puledro e ai suoi piedi (altri riferimenti regali, vedi 1Re 1,30-40; 2Re 9,13), insieme a delle fronde, particolare questo più adatto alla festa delle Capanne che alla Pasqua.

Alcuni precedono ed altri seguono – ad indicare la folla anche se non dobbiamo pensare che ci fosse tutta la città – e tutti insieme acclamano: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore.

La citazione del salmo 118,25-26 ai vv. 9-10, di per sé era divenuta un saluto abituale per i pellegrini che si recavano a Gerusalemme, anche se l’aggiunta del nostro padre Davide! (citando il salmo 2; la ritroviamo nel NT solo in At 4,25) dà un carattere messianico all’acclamazione

Ma stranamente Gesù non è più al centro dell’attenzione, la sua presenza è minimale: non sappiamo cosa fa, se dice qualcosa, come reagisce alle acclamazioni; il messaggio però è chiaro.

Colui che entra in città è il Messia figlio di Davide anche se il seguito del racconto ci mostrerà che Gesù è un Messia sofferente, che porta su di sé il peccato del mondo e che in obbedienza al volere salvifico di Dio Padre, si umilia sino alla morte di croce (cfr. la seconda lettura Fil 2,6-11).

La pericope si conclude con il v. 11 che la liturgia odierna sopprime, ma che è importante nella dinamica della sezione dei capitoli 11-13, dove leggiamo:

Sarà infatti il tempio lo scenario delle cinque dispute di Gesù e dell’insegnamento sul dono della vita che leggiamo in Mc 12,41-44 ad indicare la logica che guida il cammino stesso del Messia, figlio di Davide.

Credo che alla fine della lettura del Vangelo, invece, noi stessi possiamo capovolgere l’espressione, riconoscendo di essere bisognosi di Gesù. Infine, guardando come Cristo «si è caricato delle nostre sofferenze» (Is 53,4; Mt 8,17), credo che occorra ricordarci di essere come Chiesa-puledro che porta Cristo al mondo e il mondo ferito a Cristo.

L’acclamazione Osanna rivolta a Gesù è tipica del modo di festeggiare i pellegrini che entravano nella città santa. Qui è possibile anche l’interpretazione messianica, infatti si unisce all’osanna il riferimento al re Davide. Osanna richiama il Salmo 118,25-26 (già citati in 12,10 i vv. 118,22-23). L’espressione significa “Pietà, salvaci!”

Come immaginavano dunque il Messia gli Israeliti al tempo di Gesù?

Alcuni attendevano un condottiero o un re che li avrebbe liberati dai Romani. Altri ne immaginavano la discesa dalle nubi del cielo. Scegliendo il puledro d’asino sono deluse le aspettative di potenza e dominio, ma allo stesso tempo è esaudita la preghiera di salvezza: il Messia carica su di sé il peso della separazione da Dio e riconcilia nella misericordia i figli e le figlie al Padre.

Buona settimana santa!

Sr. Maria Rosa Venturelli

Foto di Miguel ángel villar da Pixabay

Sostieni TerraeMissione.it:
Per dare voce alle periferie abbiamo bisogno di te!

Di notizie ce ne sono tante. Spesso quelle che più ci stanno a cuore non riescono a trovare spazio sulle prime pagine dei giornali. Sostenere terraemissione.it significa permetterci di continuare il nostro impegno per un’informazione libera e indipendente, al fianco degli ultimi e al servizio del Vangelo.

SOSTIENICI
Vuoi tenerti aggiornato sulle ultime notizie?
Iscriviti alla Newsletter di Terra e Missione

Lascia un commento