Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Commento al Vangelo

In questa IV domenica del tempo pasquale, siamo chiamati a metterci in cammino, come un pastore che fa pascolare il gregge e lo raduna; disposti ad ascoltare, proteggere e curare le pecore dai mercenari e lupi che tentano di disperderle. Come rispondere, oggi, a questa chiamata vocazionale?

Meditazione a cura di Sr Laura Oliveira, Clarissa Francescana Missionaria del Santissimo Sacramento.

Dal Vangelo secondo Giovanni 10,11-18

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Commento al Vangelo

In questa IV domenica del tempo pasquale, la liturgia ci fa gustare il brano di Giovanni 10, 11-18 dove Gesù si presenta come il buon pastore. Lungo il capitolo, nel discorso sul buon pastore, troviamo dei termini contrastanti, ma che sono collegati tra loro: Gesù, infatti, parla del buon pastore e del mercenario (Gv 10, 1-5). Il discorso di Gesù richiama l’attenzione degli ascoltatori sul senso profondo del termine “pastore”.

Come distinguere il buon pastore del mercenario? La prima cosa che colpisce è il differente modo di come si comportano nei confronti delle pecore. Come era in uso tra gli ebrei, i pastori tenevano le pecore durante il giorno all’aperto per pascolare e la sera le riportavano in un recinto chiuso, protette dai pericoli notturni. Ogni mattina, al sorgere del sole, ogni pastore entrava nel grande recinto, chiamava le sue pecore per nome, e queste lo seguivano. Diverso è ciò che accadeva se a guidare le pecore era un mercenario perché a lui non importa le pecore, non importa neppure abbandonarli all’arrivo dei lupi che rapivano e disperdevano il gregge.

Il secondo elemento importante sta nel fatto che Gesù si presenta come porta delle pecore diverso di chi “vi sale da un’altra parte” (Gv 10, 7-10). Chi entra per la porta del recinto è il buon pastore. Entra e chiama per nome le pecore perché le conosce. Il mercenario, al contrario, in modo furtivo entra nel recinto da un’altra parte, non conosce le pecore, i loro bisogni, quindi, invece di radunare il gregge lo disperde. Gesù, dunque, si presenta come l’unica porta di accesso al Regno promesso dal Padre. Solo attraverso il Figlio si può arrivare al Padre. Il vero e buon pastore, il Figlio, è colui che conosce le sue pecore e le sue pecore lo conoscono attraverso il suo modo di agire, cioè, arrivando a umiliare “sé stesso facendosi obbediente fino alla morte” (Fil 2, 8) “per salvare il mondo” (Gv 12, 47).

Gesù è la porta attraverso il quale possiamo trovare la salvezza. Ascoltare e riconoscere la voce di Gesù, il buon pastore, è ascoltare e riconoscere il Padre, è diventare un solo gregge e un solo pastore. Il buon pastore dà la vita per le sue pecore e questo è il massimo della cura e protezione. Lui è disposto a consegnarsi fino alla morte, piuttosto che mettere in pericolo il gregge.

Il testo trova conferma nella profezia di Ezequiel: “Guai ai pastori d’Israele, che pascono sé stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge” (Ez 34, 2). Gesù è l’unico pastore predetto dai profeti, in Lui c’è il compimento delle profezie. “Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. […] le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse […]. Le ricondurrò nella loro terra e le farò pascolare […] in ottime pasture […]. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia (cfr. Ez 34, 11-16). Questa è la Buona Notizia, la gioia nel buon pastore che si prende cura e dà la vita per le sue pecore. Il buon pastore ascolta, guida e cura le pecore che a loro volta si fidano di lui.

Impariamo, come esorta Papa Francesco, dall’esempio di Santa Teresa di Gesù Bambino: “soltanto la fiducia, “null’altro”, non c’è un’altra via da percorrere per essere condotti all’Amore che tutto dona. Con la fiducia, la sorgente della grazia trabocca nella nostra vita, il Vangelo si fa carne in noi e ci trasforma in canali di misericordia per i fratelli. È la fiducia che ci sostiene ogni giorno e che ci manterrà in piedi davanti allo sguardo del Signore quando Egli ci chiamerà accanto a sé” (Esortazione Apostolica C’este la confiance, 2-3).

In comunione con tutta la Chiesa, in questa IV domenica del tempo pasquale, celebriamo la 61° Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Nel suo messaggio Papa Francesco ricorda lo scopo di ogni vocazione: “diventare uomini e donne di speranza. Come singoli e come comunità, nella varietà dei carismi e dei ministeri, siamo tutti chiamati a “dare corpo e cuore” alla speranza del Vangelo in un mondo segnato da sfide epocali”.

Carissimi, mettiamoci in cammino, come un pastore che fa pascolare il gregge e lo raduna; che porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri (cfr. Is 40, 11), disposti ad ascoltare, proteggere e curare le pecore dai mercenari e lupi che tentano di disperdere il gregge. Come rispondere, oggi, a questa chiamata vocazionale?

Sr. Laura Oliveira – Clarisse Francescane Missionarie del Santissimo Sacramento

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