Come tralci alla vite, innestati in Cristo per portare frutto

Il mondo può far rumoreggiare sempre più forte le sue armi, chi va in cerca di notorietà può moltiplicare le sue opere, chi ha parole forbite i suoi discorsi, ma la vita, quella che germoglia come a primavera con promessa di frutti, abita altrove. Commento al Vangelo della V domenica di Pasqua (Gv 15,1-8) a cura di Teresina Caffi, missionaria Saveriana e biblista.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni (Gv 15,1-8)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da sé stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Dove abita la vita. Commento al Vangelo

In queste domeniche che ci approssimano della Pentecoste, i testi evangelici ci spingono verso le profondità della vita cristiana, dandocene le coordinate essenziali. L’insegnamento di oggi e quello delle prossime settimane sono ambientati nel contesto dell’ultima cena, nel vangelo di Giovanni.

Il testo si apre e si chiude evocando il Padre: è lui l’agricoltore, che veglia sui tralci tagliando gli sterili e potando quelli che portano frutto perché ne portino “più”, anzi, portino “molto frutto” (vv. 2.8) e così lo glorifichino. Mai Gesù fa un discorso autoreferenziale: è sempre il Figlio totalmente volto verso il Padre e a lui ci chiede di volgere lo sguardo.

Quanto a Gesù, egli è la vite di cui siamo i tralci: connessi a lui possiamo portare frutto. Potremmo però apparentemente essere “in lui” (v. 2) ed essere sterili: segno che la vita non passa tra lui e noi. Allora non resta che “essere tagliati” per divenire sterpaglia da bruciare. La fecondità appare così una dimensione naturale e necessaria della vita del discepolo.

Come dunque essere realmente connessi alla vite, perché la sua vita passi in noi con la sua forza generante? Gesù lo dice a due riprese (vv. 3.7): mediante l’ascolto della sua Parola. Essa purifica, libera dagli intoppi il fiotto di vita che viene da Gesù. Sette volte (forse non a caso, perché è il numero della pienezza) appare il verbo “rimanere”. C’è una reciprocità che evoca il rapporto sponsale: lui/le Sue parole rimangono in noi e noi rimaniamo in lui (vv. 4.5.7).

Attraverso le immagini e la ripetizione di certi termini, che cosa vuol dirci Giovanni/Gesù? Anzitutto mi sembra ricordi che noi apparteniamo al Padre: non solo siamo la sua vigna, ma anche riceviamo da lui tutte le cure necessarie. Non ci è lecito perciò essere sterili: dando molto frutto, glorifichiamo il Padre, cioè lo manifestiamo.

Che cosa sono questi frutti? Pochi capitoli prima, Gesù aveva detto: “In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, porta molto frutto” (Gv 12,24). Portare frutto sembra dunque significare non un accumulo di azioni disparate, ma entrare nella logica di Gesù, che è quella del perdere la propria vita, del non vivere per sé stesso,

Allora rimanere in Gesù per portare frutto può significare lasciarci coinvolgere dal suo percorso di vita donata, di vita spesa per amore. Questa è la vita che glorifica e cioè manifesta il Padre, come Gesù aveva detto proprio in quel contesto: “E’ venuta l’ora he il Figlio dell’uomo sia glorificato. Padre, glorifica il tuo nome” (Gv 12,23.28) e come ripete qui: “In questo è glorificato il Padre” (Gv 15,8).

In questa domenica possiamo chiederci qual è la logica che abita le nostre giornate. Un padrone, è preoccupato della resa. Il Padre chiede a noi di vivere l’amore vero che è dimenticare sé per fare spazio all’amore di Dio e del prossimo, che sono un unico amore.

Nell’apparente sconfitta, nell’inevidenza di una vita spesa per amore ecco i frutti veri e duraturi, ecco il volto del Padre che si fa visibile. No, non sono sprecate le vite di chi per Gesù e unito a lui accetta la logica del chicco di grano. Il mondo può far rumoreggiare sempre più forte le sue armi, chi va in cerca di notorietà può moltiplicare le sue opere, chi ha parole forbite i suoi discorsi, ma la vita, quella che germoglia come a primavera con promessa di frutti, abita altrove.

Immagine di Freepik

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