“Emozionato Nero”. I colori di una missione negli occhi di un bambino

A circa sette anni dal suo viaggio in Tanzania, il volume di Luigi Laguaragnella, edito da La Rambla edizioni, ripercorre l’esperienza di volontariato vissuta in una comunità dei Missionari del Preziosissimo Sangue insieme ad alcuni giovani e una famiglia. Abbiamo intervistato l’autore, che nel suo racconto propone un cambio di punto di vista sulla missione a partire dallo sguardo e della semplicità dei gesti di un bambino.

di Geraldine Schwarz

Ci sono due ragazze neolaureate, una coppia di sposi, due giovani volontari, una famiglia e un sacerdote. E poi c’è Chicco, un bambino di 7 anni, il più piccolo degli italiani arrivati in Tanzania da Bari. Sono arrivati In missione, tra le opere di carità realizzate dai missionari del Preziosissimo Sangue nella regione del Chibumagwa e vi resteranno per circa un mese. Parte da qui, da questo spunto tratto dalla realtà e da una missione realmente vissuta nell’estate del 2017, “Emozionato Nero” (edito da La Rambla) la storia di una missione vissuta con gli occhi di un bambino, il nuovo libro di Luigi Laguaranella, giornalista, educatore a servizio dei minori e collaboratore della parrocchia del Preziosissimo Sangue di Gesù, in San Rocco, a Bari, che incontriamo in questa intervista. I proventi del libro, uscito ad Ottobre, saranno destinati alla realizzazione di un asilo per la missione nel distretto di Singida, gestita dai missionari del Preziosissimo Sangue. Per questo l’autore è disponibile a recarsi nelle parrocchie che desiderano presentare il libro per sostenere le missioni.

“In Tanzania non si correva dietro al lavoro, si correva dietro alla vita”
“La quotidianità dei lavori e del servizio rispettavano la lentezza della vita del villaggio, un concetto che si andava sviluppando nella mentalità del gruppo. Poco alla volta, pole pole, il ritmo europeo venne sostituito dalla flemma africana. In tutto questo, l’energia di Chicco era talmente genuina e dinamica da sprigionare buonumore. Insieme alla meraviglia di quella aspra porzione di terra combinava generosità e fatica in movimenti che dipingevano speranza e immaginazione. I giovani italiani si adeguarono al ritmo e al tempo di Chibumagwa, questa regione se ne frega delle urgenze, non impone modalità predeterminate. Non ha bisogno di chiedere. Vive di quello che si può donare. Un’ottica completamente opposta al modo di pensare occidentale. Per l’intero gruppo con la testa improntata all’efficientismo, la permanenza in Africa si trasformò in una missione al contrario. Alla fine chi avrebbe salvato chi?”

Come nasce questo spunto narrativo di raccontare la missione con gli occhi di un bambino?

“Tutto nasce dai miei appunti di viaggio presi durante la missione in Tanzania che ho vissuto nell’estate del 2017. Con un gruppo di volontari abbiamo aderito alla proposta di don Benedetto Labate, missionario del preziosissimo sangue e siamo partiti per la Tanzania. Siamo stati un mese nella regione del Chihymagwa e abbiamo visitato orfanatrofi, ospedali, e ovviamente la parrocchia attorno alla quale ruotava tutta la vita del villaggio. Chicco era un bambino di 8 anni, accompagnato dalla sua famiglia, una coppia di giovani genitori e altri due suoi fratelli, era il più piccolo ma è stato la vera forza del gruppo. Era euforico di fare tutto, voleva lavorare con noi, giocare con gli altri bambini che incontrava e soprattutto vedeva tutto con gli occhi della naturalezza e della spontaneità. Mi ha colpito molto vedere una famiglia in missione con i figli e la bellezza di Chicco era che non aveva filtri, come tutti i bambini e che leggeva L’africa forse con lo sguardo più giusto, quello dello stupore e dell’accoglienza. L’Africa ha questo nel suo Dna, che azzera le maschere e in quell’essenzialità di vita, di fronte a quello che si vede e si vive, cadono inevitabilmente molti filtri. Ma noi adulti anche in quell’occasione e di fronte a tante contraddizioni trovavamo il modo di essere contristati, e a volte anche critici. Chicco invece, accoglieva tutto con gioia e benevolenza ed è stato una bellissima testimonianza anche per noi adulti, averlo nel gruppo. Per questo ho voluto ripercorrere la missione con i suoi occhi.

Perché ha deciso di partire in missione? Cosa cercava?

“Andare in missione in Africa era un mio desiderio da sempre e appena si è presentata questa occasione l’ho colta con entusiasmo. Partire ha confermato il mio stile missionario, sento che è una mia indole quella della missionarietà. La spiritualità della missione mi è stata trasmessa e da tanti anni ormai, collaboro con la parrocchia del Preziosissimo sangue di Gesù in San Rocco, a Bari, dove vivo. Ho guidato per tanti anni il gruppo giovanile e adesso sono attivo per l’organizzazione del mese missionario e per altre attività pastorali. Con Emozionato Nero spero di poter aiutare la missione dove sono stato. nel distretto di Singida. È una regione molto disagiata che ha bisogno di tutto direi. I proventi del libro saranno interamente devoluti per la costruzione di un asilo missionario. Per questo, lo sto presentando nelle parrocchie di tutta Italia e vado ovunque mi chiedano un incontro, perché il libro è solo un mezzo per continuare la missione.

Cosa l’ha colpita dell’Africa?

Se vai in Africa a vedere certe realtà e anche solo a viverle per un periodo, quando torni, c’è un prima e un dopo. L’Africa è una domanda che ti spoglia e ti riporta all’essenzialità. Con la natura, la luce, le persone, il modo di vivere con niente. E aiuta a ridimensionarti. Ma qui in Occidente non è sempre semplice, conservare questa essenzialità. Dell’Africa e di quella missione che ho narrato nel libro, conservo il ricordo che c’è qualcosa di essenziale che ho sperimentato e che non devo perdere. Conservare questa ricchezza mi aiuta a vivere meglio e in alcuni momenti in cui ho pensieri negativi riattivo questi ricordi e come per incanto le aspettative si sciolgono e io mi resetto, mi ridimensiono.

Una persona, una storia, qualcosa che non dimentica, a parte Chicco, il bambino protagonista del suo libro?

Sicuramente suor Celeste. Una suora che è in Tanzania da più di 20 anni che abbiamo incontrato al villaggio. Oggi avrà circa 80 anni, credo. Ci ha raccontato di aver avviato le sue attività quasi da sola negli anni. Siamo stati ospiti del suo centro di recupero il Buon Samaritano, una comunità che accoglie donne vittime di violenza per ridare loro accoglienza e dignità. In Africa l’emancipazione femminile si sta costruendo, spesso le donne sono vittime di violenza dai loro stessi famigliari anche per motivi legati alla stregoneria. Oggi ci sono circa quaranta donne nel suo centro con i loro bambini e accanto al centro c’è anche un asilo. Suor Celeste trasmetteva qualcosa di soprannaturale, forte e docile, il suo sguardo era sempre pieno di gratitudine ed emanava una forza che secondo me veniva da Dio. Ci diceva che vedendo noi italiani, respirava aria di casa. Insieme a Chicco, suor Celeste è una persona meravigliosa che un po’ tutti potranno conoscere grazie al libro.

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