L’emorroissa e la figlia di Giairo: la fede fa miracoli. Commento al Vangelo

Il brano del Vangelo di questa domenica ci presenta due miracoli di Gesù legati uno all’altro: la guarigione dell’emorroissa e la resurrezione della figlia di Giairo. Il loro messaggio è complementare e ci conduce per mano a comprendere la vera identità e la missione di Gesù.

Meditazione a cura di Antonella Simonetti, Suora Francescana Missionaria di Assisi

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 5,21-43)

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Commento al Vangelo

“Chi sei tu, dolcissimo Signore? Chi sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo?” (S. Francesco d’Assisi).

Chi sei tu, Signore?”. È questa la domanda centrale della nostra esistenza, il caso serio della nostra fede. Ed è questa la domanda che attraversa tutto il Vangelo di Marco: “Chi è costui?”, domanda strettamente legata al cosiddetto “segreto messianico”. Gesù, cioè, intima perentoriamente a tutti (agli apostoli, ai demoni, ai beneficiari dei suoi miracoli…) di non diffondere gli eventi prodigiosi a cui assistono, proprio come avviene al termine del miracolo narrato in questo brano del Vangelo: “E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo”.

Come mai Gesù è così determinato a mantenere questo “segreto”? Forse proprio perché non venga fraintesa la sua vera identità, perché quella domanda – fondamentale per la nostra vita – “Chi sei tu, Signore?” possa trovare una risposta autentica. I miracoli di Gesù potrebbero essere interpretati troppo frettolosamente come i gesti di un grande taumaturgo, che ridona la vita, la salute, che sfama le folle… che risolve i problemi… Il Vangelo di Marco, però, attraverso il dipanarsi della sua trama, ci conduce per mano a comprendere che la vera identità di Gesù è quella del Figlio, Figlio amato del Padre, al quale Egli continuamente si riferisce e al quale rimane ostinatamente fedele. Ed è interessante come tale identità, velata lungo tutto il Vangelo, emerga chiaramente solo alla fine, quando, al punto più basso della sua competenza prodigiosa, Gesù muore in croce da maledetto, riferendosi ancora una volta, per l’ultima volta, con un grido straziato, a suo Padre e proprio lì viene riconosciuto da un pagano come il “Figlio di Dio”.

Comprendiamo, allora, che i miracoli compiuti da Gesù sono piccoli segni allusivi della sua vera identità e della sua missione, di ciò che Lui è venuto a portare. Gesù non è il taumaturgo venuto a risolvere i problemi, ma è il Figlio venuto a narrare e a donare la vicinanza misericordiosa del Padre per ciascuno dei suoi figli ed è venuto, soprattutto, a farci figli in Lui, a donarci la vita di Dio, che attraversa la morte per vincerla per sempre. Ecco il senso dei miracoli: piccoli segni sporadici e limitati che vogliono significare qualcosa di molto più grande: il Regno che fa irruzione nella nostra vita, la presenza di Dio che è venuto a visitarci per unirsi a noi per sempre, per fare la strada con noi e permetterci, così, nelle pieghe del nostro quotidiano, talvolta pesante, complicato e contraddittorio, di esprimere energie di dono, di amare sempre e comunque, di quell’amore che viene da Lui solo; per permetterci di accettare l’incompiutezza della nostra esistenza, certi che siamo in cammino verso un compimento, che già fa brillare della Sua luce la nostra vita su questa terra, pur con tutte le sue zavorre.

Diventa più chiaro, allora, perché siano necessari i due elementi che Gesù richiede: il silenzio e la fede.

Il silenzio, perché solo nel silenzio è possibile custodire ciò che accade e coglierne la reale portata, senza impoverirne il senso, senza travisarlo, ma scavando nella ricerca progressiva di significati sempre più profondi, sempre più vitali…

La fede, perché il dono che Dio ci fa, il dono della Sua vita, il dono della comunione con Lui, fa sempre appello alla nostra libertà, ci chiede di attivarci, di fidarci di Colui che intuiamo essere il pastore buono della nostra vita, il custode della nostra esistenza, ma soprattutto il Signore della Vita, che è venuto a portare Vita sovrabbondante, la Sua Vita!

Immagine di freepik

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