«Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due». Gesù costituisce coloro che credono in Lui come piccole comunità inviate in missione. Comunitari, non individualisti; itineranti non sedentari. Vivono e portano la fraternità: prima e al di là di qualsiasi istanza religiosa. A dire dell’unico grande valore della relazione, e a dire della bellezza e del valore di ogni cultura.
Meditazione a cura della Comunità monastica di Marango*
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 6,7-13)
In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
Commento al Vangelo. Vivere e portare la fraternità
«Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli»: l’iniziativa della missione è solo di Gesù. Anche il profeta Amos (prima Lettura) fonda tutto sulla chiamata del Signore: «Non ero profeta. Il Signore mi chiamò mentre seguivo il gregge». Così risponde al profeta e sacerdote ufficiale Amasìa. La scelta del Signore su Amos è libera e gratuita: non guarda a predisposizioni umane, a capacità di risposta o di corrispondenza alla vocazione, né guarda ad appartenenze a corporazioni profetiche. Inoltre, Amos è originario della Giudea, e Dio lo invia nel Regno del nord. In più, a Betel la religione è ormai asservita al potere: «Questo è il santuario del re ed è il tempio del regno». È un santuario in cui non risuona più la parola profetica, ma la parola del re, del potere di turno.
Io mi domando se anche oggi non ci siano certi connubi con il modo di pensare del potere che finiscono con il zittire la parola del Vangelo: la parola della fraternità. Allora viene a mancare la parola profetica, la proposta di Dio di un mondo fatto di umanità e di cura; una parola scomoda per la logica mondana che ha preso anche la religione; una parola che scomoda perché scomoda per primo il profeta: è Dio che ha scelto quel povero contadino, è Dio che ha voluto che un uomo del sud andasse a portare la sua scomoda parola presso gli ormai separati del nord, è Dio che manda a contestare l’indecente spettacolo di una religione asservita al potere del re. Vedi sfruttamento e illegalità nel lavoro, corruzione, rifiuto dei poveri, ingiustizie sociali, e te ne vai tranquillo a Messa: significa che non ascoltiamo più il Vangelo e che non siamo più finalizzati al regno di Dio, che è il progetto del Padre di rendere più umana all’umanità.
«E prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri». Gesù costituisce coloro che credono in Lui come piccole comunità inviate in missione. Vivono relazioni fraterne, di attenzione e cura reciproche, e così si fanno compagni di cammino di tutti gli uomini, di tutte le culture, di tutte le situazioni umane e sociali. Vivono e portano la fraternità: prima e al di là di qualsiasi istanza religiosa. Comunitari, non individualisti; itineranti non sedentari. A dire dell’unico grande valore della relazione, e a dire della bellezza e del valore di ogni cultura.
Una Chiesa che è inviata, non che sta ad aspettare alla porta delle chiese. Una Chiesa che annuncia che Dio è vicino, in Gesù Cristo, e perciò una Chiesa che non mantiene le distanze dalla gente. E cacciare gli spiriti non è solo fare esorcismi: è indicare in Gesù Cristo la via per liberarsi da quello che è il male per antonomasia che assale l’uomo: «Dall’orgoglio salva il tuo servo, allora sarò puro dal grande peccato» (Sal 19,14).
«Non prendere nulla per il viaggio: né pane, né sacca, né denaro». Per dire che la propria fiducia è riposta solo nel Signore. Non significa però farsi mantenere come i privilegiati. Vuol dire non costruire sistemi e strutture di supporto che poi obbligano a spendersi per mantenerle. Mentre sono positive tutte quelle iniziative e organizzazioni che mettono al centro l’uomo, che se ne prendono cura, soprattutto se è fragile. Poveri di mezzi, ma ricchi di umanità.
«Dovunque entriate in una casa, rimanetevi». Vuol dire condividere la vita reale delle persone. Vuol dire fare famiglia ed aiutare ad essere famiglia. Oggi, anche nei rapporti più stretti, viene a mancare il dialogo, l’ascolto, l’attenzione. Viene a mancare l’azione educativa. I piccoli crescono come se fossero il centro di tutto: non sanno ascoltare, credono di poter fare qualsiasi cosa, non hanno alcun riferimento se non ciò che soddisfa le loro pretese. La famiglia è il primo luogo dell’educazione: letteralmente la parola vuol dire «condurre fuori». Fuori da se stessi, dal proprio egocentrismo, a sentirsi amati perché limitati.
«Se in qualche luogo non vi accogliessero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Gesù non insegna una misericordia senza condizioni. Quando si è rifiutati non si dice che va tutto bene. Perché sarebbe non vera misericordia. Essa consiste anche nel dire che l’atteggiamento assunto è sbagliato. In nome della pazienza non si può accettare tutto. Fa parte l’attenzione nei confronti dell’altro anche dirgli, con pace, che il suo atteggiamento è sbagliato: per il suo bene, non per la giustizia. Per questo Gesù parla di testimonianza per loro: non è una condanna, ma una denuncia del loro atteggiamento non buono, perché possano riflettere e sentirsi voluti bene proprio da tale denuncia.
* Don Alberto Vianello, monaco della Comunità di Marango – Diocesi di Venezia