“Effatà”, aprire la porta del cuore all’altro. Commento al Vangelo

Quanto del grido degli umani che stanno attorno a noi raggiunge i nostri orecchi? Nelle nostre giornate spesso febbrili, siamo rimasti “umani”, capaci di ascoltare, accogliere, compatire quanto vive chi sta accanto e noi e nel mondo? Siamo capaci di prendere apertamente le difese degli ultimi quando la mentalità imperante è quella del “prima noi”?

Meditazione a cura di Teresina Caffi, missionaria Saveriana e biblista

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 7,31-37)

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Commento al Vangelo di domenica 8 settembre 2024

Un percorso un po’ tortuoso – forse Marco non conosceva bene la geografia della sua terra – porta Gesù dal territorio “pagano” a quello d’Israele. L’evangelista non specifica a che punto preciso avviene l’incontro di Gesù con quest’uomo e i suoi amici: non è per lui ciò che conta. Come in altre occasioni, della gente sana che porta un malato: e questa è già una preghiera, un atto di fraternità e di fede. La sordità che s’accompagna all’incapacità di formulare la parola, sembra un handicap minore rispetto ad altri. Eppure quando è severa, impedisce fortemente le relazioni, lascia nell’isolamento.

Chissà se qualche volta Gesù si sarà anche lui sentito importunato dai continui fuori-programma che capitano quando si è accessibili alla gente. Al di là del suo umano sentire, resta però la ferma decisione quotidiana di essere a disposizione della folla, dei più feriti fra gli umani. Quelli che da esclusi dal Tempio erano diventati, coi profeti, destinatari privilegiati dell’attenzione potente e misericordiosa di Dio, come dice la prima lettura.

Gesù però non approfitta della situazione per fare spettacolo, farsi ancor più un nome. Prende l’uomo muto e sordo, che aveva parlato con la voce altrui e gli occhi pieni di speranza e lo porta in disparte. Cerca l’incontro personale con lui, il quale si lascia fare gesti inconsueti, da guaritore. Gli altri evangelisti pur riportando, come sembra, gran parte del vangelo di Marco, omettono racconti come questo. Marco invece non teme di esagerare nel sottolineare l’umanità di Gesù. Del resto è Luca a dire chiaramente che «da lui usciva una forza che guariva tutti» (Lc 6,19), e con Marco e Matteo testimonia che bastò alla donna emorroissa toccare un lembo del suo mantello per essere guarita.

Ai gesti si unisce la parola, unica e potente, di Gesù “Effatà”, conservata dalla tradizione nell’aramaico in cui Gesù dovette pronunciarla: apriti! Le porte chiuse delle orecchie dell’uomo si aprono, le catene che bloccavano la sua lingua si sciolgono. L’uomo diventa un essere in relazione.

Oggi abbiamo centri terapeutici che producono grandi effetti nelle persone affette da sordità-mutismo. Fare ciò con amore è percorrere la via di Gesù. Al contempo, fin dai primi secoli la Chiesa ha letto anche in modo simbolico la condizione di quest’uomo: sordo è colui che non ascolta la parola del Signore, muto colui che non l’annuncia.

Al termine del rito battesimale, il prete tocca, con il pollice, le orecchie e le labbra del battezzando dicendo: «Il Signore Gesù, che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare presto la sua parola, e di professare la tua fede, a lode e gloria di Dio Padre». Se non siamo tra i sordomuti fisici, se abbiamo già ricevuto il battesimo, che cosa ci resta?

La Parola al cui ascolto siamo stati abilitati giunge ancora alle nostre orecchie? Appare ancora sulle nostre labbra? Siamo in un tempo in cui non abbiamo tempo di ascoltare e arrossiamo se ci scappa detto “Gesù” … Siamo forse sordo-muti di ritorno?

Ma non solo questo. Quanto del grido degli umani che stanno attorno a noi raggiunge i nostri orecchi? Nelle nostre giornate spesso febbrili, siamo rimasti “umani”, capaci di ascoltare, accogliere, compatire quanto vive chi sta accanto e noi e nel mondo? Siamo capaci di prendere apertamente le difese degli ultimi quando la mentalità imperante è quella del “prima noi”?

Signore, con l’Eucarestia il tuo corpo tocca il nostro corpo… di’ ancora su di noi la parola Effatà!

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