“Che cosa dobbiamo fare?”. Quando questa domanda nasce in cuore, significa che qualcosa di nuovo è entrato nella nostra vita, nelle nostre prospettive, sì da rendere il nostro agire ordinario obsoleto. A vino nuovo otri nuovi. Ma quali?
Meditazione sul Vangelo di domenica 15 dicembre a cura di Teresina Caffi, missionaria Saveriana e biblista
Dal Vangelo secondo Luca (3,10-18)
In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Commento al Vangelo
“Maestro, che cosa dobbiamo fare?”, chiedono le folle a Giovanni, toccate e convinte dal suo appello. È anche la domanda degli ascoltatori di Pietro dopo il suo primo discorso il giorno di Pentecoste: “Che cosa dobbiamo fare?”. Quando essa nasce in cuore, significa che qualcosa di nuovo è entrato nella nostra vita, nelle nostre prospettive, sì da rendere il nostro agire ordinario obsoleto. A vino nuovo otri nuovi. Ma quali?
Giungere a porsi questa domanda è capire che non si può andare avanti così, la vecchia strada non conduce nulla, ne occorre una nuova, quale? È l’atteggiamento radicale di povertà, quando la persona scopre che è tempo di cambiare, senza sapersi dare da sé delle risposte.
Dobbiamo chiedere la grazia di questa domanda e della disponibilità che vi è sottesa. Sono troppo ripetitivi i nostri discorsi e anche il Giubileo alle porte rischia di esserlo. Pellegrinaggi, devozioni che si aggiungono a una vita che scorre senza scosse. Come essere davvero “pellegrini di speranza”, come ci chiede il Papa?
Che cosa dovrebbe muoverla in noi? Forse il riconsiderare una fede che sonnecchia, che è diventata abitudine, che non si stupisce più. Recuperare spazi di silenzio per ritrovare lo stupore di realtà che vanno oltre ogni nostra comprensione e misura. Sapremo stupirci ancora a Natale? Sapremo restare senza parole di fronte a un Dio che si fa nostro cibo? Stupirci di un amore che ci ha preceduti, fatti esistere e che ci recupera a ogni istante senza chiederci i conti, solo che lo vogliamo, pagando lui stesso il prezzo?
E fatto questo, sapremo guardare meno indifferenti un mondo fatto di litigiosità ai veri livelli, dai muri familiari e di vicinato fino alle guerre impietose e senza fine? Sapremo guardare le disparità con occhio nuovo, smettendo di ammirare i ricchi del mondo e godere di esserne amici? Anziché guardare compiaciuti il potente che si impone, sapremo ammirare un padre e una madre che consacrano la vita per un figlio disabile, una persona sempre pronta a servire?
Luca con Giovanni rivela il male profondo che percorre il mondo: l’avidità. Non solo avere, ma super-avere; non una casa, ma più case; non un’auto normale ma un mezzo che dia prestigio, non un abito ma la frenesia dell’usa e getta. Ci sono continenti che vivono con tutta la nostra roba dismessa: abiti, scarpe, piatti, bicchieri.
Occorre disincollarsi dalle cose, dice Luca. L’accumulo è frutto di ingiustizia: come nel caso dei pubblicani, che esigevano più del dovuto; dei militari, che usavano la forza per estorcere e angariare. Ma anche la semplice ricchezza in sé – sembra dire Giovanni alle folle – è indebita e dobbiamo fare i conti con essa se vogliamo fare spazio al Nuovo che viene. Colui che verrà si situerà nei vuoti che avremo creato e sarà un dono ben più grande. Allora conosceremo la gioia, che riempie di sé le due prime letture di oggi, domenica “Gaudete”.
Per Giovanni, non ancora a conoscenza del messaggio di Colui che annuncia, sarà una venuta da resa dei conti: a ciascuno verrà chiesto conto del fratello. Dovrà anche lui stupirsi, fino a mandare, dal fondo della prigione, i suoi discepoli a interrogarlo se sia proprio lui colui che doveva venire, quando vedrà che il Regno di Dio è anzitutto misericordia offerta che ci rende possibile ciò che sembrava impossibile.