La parola di Gesù è di una chiarezza esemplare: “L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene” (6,45). Il cuore è la sorgente nascosta di ogni scelta. E si identifica con esso: “Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21).
Commento al Vangelo a cura di Fra Adolfo Marmorino OFM.
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 6,39-45)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero, infatti, si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».
Commento al Vangelo
Abbiamo un tesoro nel cuore, qualcosa di buono e di grande. Questo tesoro buono fa di noi delle persone buone, capaci di fare il bene. Anzi questo tesoro trabocca (viene fuori dalla nostra bocca) quando sovrabbonda nel cuore, facendoci dire il bene (→ bene – dire).
Ma esiste anche la possibilità che in questo scrigno che è il cuore, si conservi un tesoro cattivo e da questo traiamo fuori il male, lo pensiamo, lo diciamo e lo facciamo. Anzi quando è proprio tanto, il male esce dalla nostra bocca e neanche ce ne accorgiamo più. Col tempo poi ci abituiamo a far uscire ciò che abbiamo dentro, a ruota libera senza nessun rispetto. E da lì escono i giudizi avventati, le condanne, le offese e ogni sorta di cattiveria.
Questo dovrebbe aiutarci a considerare bene i pensieri che ci passano per la testa, le parole che diciamo e poi anche i gesti conseguenti. Approcciarci più spesso alla confessione sarebbe già un grande passo, per mettere luce nel cuore, per tenere fuori dallo scrigno il male e custodirvi invece il bene. Ma anche imparare a dialogare col fratello, la sorella, senza tenere dentro le ferite che possono – se chiuse nel cuore – diventare germi di rancore e perfino di vendetta. A volte le incomprensioni – con i giudizi e le condanne conseguenti – arrivano per semplici punti di vista divergenti mai confrontati.
Non è solo un problema di relazioni interpersonali: anche nelle relazioni internazionali e interculturali avviene questo. E i risultati sono le guerre o l’imposizione di una ideologia (dettata dal più forte). Pensare che noi abbiamo sempre la soluzione migliore, il modo migliore di fare qualcosa, di vivere, di vestirsi e perfino di mangiare, di fare teologia e di celebrare… porta come conseguenza quella di disprezzare o sminuire tutto ciò che fanno altri popoli e culture: convinti di essere i migliori, ci siamo affannati – a volte con malcelato paternalismo – a togliere la pagliuzza dall’occhio di un altro popolo per renderlo più simile a noi e dunque migliore. Ovviamente senza mai confrontarci con l’altro e dando tutto per scontato. Ed ecco che anche una ideologia si può facilmente rivestire di teologia per rendersi intoccabile… Ma è viziata nel cuore (appunto).
Gli anni vissuti in missione mi hanno convinto che realmente non esiste una cultura migliore di un’altra, ma che, se togliamo le travi dei preconcetti dai nostri occhi, quelle che ci rendono ciechi inconsapevolmente, se ci mettiamo in ascolto, possiamo realmente comprendere le ragioni delle differenze e forse anche la bontà delle stesse. E magari arriveremo anche ad imparare qualcosa dagli altri e correggere ciò che in noi – alla fine, visto sotto una luce diversa – non era poi così evangelico.
In tutto ciò capisco quanto sia importante vivere in comunità internazionali e interculturali, perché l’umiltà richiesta per comprendere e accogliere le positività di quanto, a primo impatto, guardiamo con sospetto, ci forma e ci rende più elastici anche nelle relazioni interpersonali. E forse ci aiuterà anche a comprendere che spesso perdiamo tempo ed energia dietro a cose che il tempo e l’energia li rubano a ciò che veramente conta.
E magari ciechi lo resteremo sempre, ma ne saremo consapevoli, e questo sarà già un grande passo in avanti.
Consapevole di questo, s. Francesco d’Assisi non si riteneva mai più illuminato di altri e quando qualcuno chiedeva a lui consiglio, prontamente, rimandava tutti al Signore.
Da una biografia di s. Francesco d’Assisi:
Due uomini di Assisi, ispirati dalla visita della grazia divina, si appressarono umilmente a lui. Uno di questi era frate Bernardo, l’altro frate Pietro. Gli dissero con semplicità: «Noi vogliamo d’ora in poi stare con te e fare quello che fai tu. Spiegaci dunque che cosa dobbiamo fare dei nostri averi». Francesco, esultando per il loro arrivo e il loro desiderio, rispose affettuosamente: «Andiamo a chiedere consiglio al Signore». E si diressero in chiesa…
E il nostro valore, per quanto possiamo credere diversamente, è esattamente quello. Il nostro valore è il valore di quel tesoro. Possiamo avere una considerazione di noi particolare, crederci giusti, pensare di avere ragione, ma la verità su ciò che siamo si chiarifica da ciò che diciamo o che facciamo.
Dice S. Francesco d’Assisi: “Il servo di Dio non può conoscere quanta pazienza e umiltà abbia in sé finché gli si dà soddisfazione. Quando invece verrà il tempo in cui quelli che gli dovrebbero dare soddisfazione gli si mettono contro, quanta pazienza e umiltà ha in questo caso, tanta ne ha e non più” (Amm. XIII).
Questo non vuol dire che ci identifichiamo con quello che diciamo o che facciamo. ma che la nostra verità non si basa su idee quanto piuttosto su fatti.
Non basta dunque sentire qualcuno che dica belle parole per concludere che si tratta di una brava persona. Se è vero che nessuno può dire “Gesù è Signore se non è mosso dallo Spirito” (1Cor 12,3), è vero anche che “non chi dice Signore, Signore, entrerà nel Regno dei Cieli” (Mt 7,21).
Le parole sono un contenitore e dentro ci mettiamo il significato. Questo significato è il tesoro che abbiamo nel cuore. E si identifica con esso: “Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21).
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