Piccole sorelle di Gesù a Casablanca: tessitrici di fraternità

Coltivano la contemplazione e la fratellanza universale, ereditate da Charles de Foucauld. Renato Zilio, missionario scalabriniano a Casablanca, ci racconta come viene vissuto dalle Piccole sorelle di Gesù l’essere missione per la vita degli altri.

“Sai, la nostra fede è coltivare l’amicizia con i nostri vicini!” Liên, vietnamita, Piccola sorella di Gesù, parla delle famiglie musulmane. Vive in un quartiere povero, popolare di Casablanca, il quartiere Bourgogne.

Ascoltandola, sembra di sentire Matteo Ricci, un gesuita pioniere dell’evangelizzazione nell’Estremo Oriente. Nella Cina del XVI secolo, componeva in cinese un trattato sull’amicizia, perché solo attraverso di essa comunicava il Vangelo attorno a lui. Per attrazione. Come per incanto.

Così, in queste religiose nessuna velleità di convertire, ma piuttosto di coltivare quella perla del Regno di Dio, che si chiama la fratellanza. Segno di una Chiesa, che qui in terra d’Islam si propone di essere “sacramento dell’incontro”.

La casa è umile, accogliente, curata. Qualche tappeto berbero qua e là. Povertà e bellezza possono abitare insieme, sembra il loro messaggio. Nate nel deserto dell’Algeria come un dono di Dio – quando il deserto sa farsi fecondo – le Piccole sorelle di Gesù ne portano sempre le caratteristiche, come i cromosomi di un carisma. Semplicità, essenzialità, preghiera e fraternità. Sono distribuite in piccole comunità nel Marocco, ben radicate in mezzo alla gente. Seppure di tante e diverse nazionalità parlano arabo locale, il darija, come tutti. Vivono il mistero di Nazaret in terra d’islam: fare le cose di tutti i giorni. Con il cuore.

“L’Islam non è un’ideologia”, vi diranno. Ma sono persone che esse incontrano e amano quotidianamente. E questo traspare in ogni occasione. La vicina di casa secca il suo miglio sulla loro terrazza, altrimenti sparirebbe. Un’altra stende invece i suoi panni da loro, per non perderli. Le porte sono sempre aperte alla visita dei vicini. Una Piccola sorella, poi, tempo fa, desiderosa di fare un lavoro per conoscere la gente, svolgeva faticosamente la pulizia delle strade del quartiere.

Il senso del servizio nelle piccole cose le rende grandi. Per me, allora, arrivare da loro è sempre invocare il dono della conversione del cuore. E ricordare che «i poveri, gli ultimi sono il luogo dove Dio continua a vivere in clandestinità”.

Ormai è quaresima. Celebriamo l’eucarestia in una minuscola cappella che sa il profumo di Cristo e del suo mistero d’amore. Mi indicano le ostie da consacrare: sono quadrate, delicate, cotte al forno. “Le fanno le nostre vicine musulmane” mi susurra Gaby, francese, “felici di sapere che così preghiamo anche per loro”.

Piccole Sorelle Casablanca

 Marie, congolese, lavora al vicino ospedale Moulay Youssef. Come è il suo lavoro? “Il mio primo lavoro – vi risponderà –  è costruire una forte relazione con l’equipe medica, poi viene l’attività…”

L’amicizia, lo spirito di collaborazione è la priorità. In casa loro, di quattro nazionalità differenti, la sfida è coniugare insieme le differenze del loro mondo. Anche qui, non è il carisma del successo, ma il carisma del saper ricominciare sempre.

È vero, ogni relazione di bene è costruita con pazienza e sui più piccoli, insignificanti dettagli. D’altronde, Dio non ci chiede cose impossibili, ma semplicemente di fare il possibile che è alla nostra portata.

Non di consolare l’umanità intera, ma di ascoltare almeno la sofferenza di chi ci sta accanto. Non ci chiede di far terminare tutte le guerre, ma almeno di non essere motivo di conflitto là dove viviamo. Sì, un autentico cammino quaresimale dei piccoli passi.

“Ci chiede solo il miracolo del nostro possibile – conclude qualcuno – sapendo che è così che si arriva all’impossibile”.

p. Renato Zilio, missionario scalabriniano

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