Il cieco nato difende la propria esperienza: è vera e gli ha trasformato la vita. Proprio per questo accetta con libertà di essere messo ai margini, di essere espulso dal gruppo pur di non rinnegarla. Non è forse questo un modo di essere missionario nel mondo di oggi? Vivere la fede in profondità, credere e fare memoria dell’incontro personale con Gesù, perché divenga un punto fermo al quale ciascuno possa ritornare per riprendere forza e motivazione per testimoniare a tutti, con convinzione, ciò che il mondo, molte volte chiuso e ripiegato su se stesso, non vede e affermare con la Parola e con la vita che è possibile alzare lo sguardo e riconoscere i segni del Cristo presente nella storia.
Commento al Vangelo a cura di sr. Rosanna Marchetti, missionaria dell’Immacolata – Pime in Brasile
Dal Vangelo secondo Giovanni
Forma breve: Gv 9, 1.6-9.13-17.34-38
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita; sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.
Commento al Vangelo della IV domenica di Quaresima
Il personaggio principale del Vangelo di questa domenica è un cieco dalla nascita. Un tema che fa ritornare alla mente il tema della luce, tanto caro a San Giovanni. Siamo davanti ad un malato, una persona che ha bisogno di essere curato per vivere in pienezza. Nella mentalità comune dell’epoca la malattia era segno evidente di una maledizione legata ad una situazione di peccato di chi era malato o dei suoi genitori. Gesù coglie l’occasione per mostrare l’opera di Dio che ridona dignità e libertà all’essere umano.
Gesù, la luce del mondo venuto a dissipare le tenebre, offre un nuovo segno perché lo si possa riconoscere come Luce vera. La nostra mente ritorna il testo del Prologo dove la luce e le tenebre sono in contrapposizione. La luce vince le tenebre, ma non viene accolta (Gv 1, 9-10). Anche nel testo proposto dalla Liturgia odierna il cieco recupera la vista, passa dalle tenebre alla luce, la luce del Cristo vince le tenebre esteriori ed interiori che impediscono all’uomo di vedere e camminare nella fede, ma il miracolo non viene accolto da coloro che stanno a guardare, non sanno gioire con chi riacquista la vista e non riconoscono il segno della presenza del Regno di Dio.
Un altro aspetto che appare all’inizio del testo è il gesto di Gesù, che richiama il testo della creazione: la terra e la saliva. La terra con cui Dio ha plasmato l’uomo (cfr. Gen 2,7) e la saliva, che nella mentalità dell’epoca trasmetteva energia vitale alla persona. L’azione di Gesù ricrea la persona, dona una vita nuova ma l’uomo ancora una volta è chiamato in causa, è invitato ad accettare liberamente la luce che è Gesù: “vai a lavarti alla piscina di Siloe”. L’opera di Dio necessita dell’adesione dell’uomo perché possa ritrovare la vista e rinascere di nuovo.
Il miracolo però non è accolto con gioia perché destabilizza e costringe chi sta a guardare ad uscire dagli schemi fissi e predeterminati. Il miracolo scandalizza, fa sorgere domande che mettono in discussione l’operato di Gesù, c’è molta diffidenza e scetticismo attorno a lui. Il cieco tenta delle spiegazioni, afferma di essere lui il cieco che ora ha riacquistato la vista. Vorrebbe che fosse riconosciuta l’opera di Dio, ma questo non è possibile a chi non ha un cuore aperto e capace di flessibilità e di apertura alla novità di Dio. Notiamo chiusura e paura tra le persone che lo circondano. Persino i genitori del cieco non vogliono essere coinvolti, vogliono rimanerne fuori: “noi non sappiamo”. (v.21) Il cieco, che ora vede, è costretto a spiegare più volte, progressivamente diviene consapevole di ciò che gli è accaduto ed è chiamato a percorrere un cammino di fede che lo porta a riconoscere Gesù come venuto da Dio, ma per questo è condannato alla sua stessa sorte: è espulso, allontanato.
È ai margini, fuori dal centro, che Gesù incontra di nuovo il cieco, si fa riconoscere ed il cieco professa la propria fede: io credo!
Lasciandoci provocare da questo testo possiamo cogliere vari punti di riflessione: prima di tutto il cammino del cieco che, nella libertà che gli è donata, arriva a professare la propria fede e divenire discepolo. Nella difficoltà ed in mezzo alle contraddizioni molte volte ricopriamo i valori più profondi, percorriamo un cammino interiore di fede che ci porta a professarla con maggior consapevolezza. Il mondo ci provoca, le contraddizioni e le avversità della vita ci scuotono, ma è proprio in questo essere costantemente sfidati che abbiamo la possibilità di scoprire la nostra identità più profonda, ciò in cui veramente crediamo e rileggiamo con occhi nuovi la nostra esperienza di Dio.
Un secondo aspetto interessante del testo è come il cieco nato difende la propria esperienza: è vera e gli ha trasformato la vita. Proprio per questo accetta con libertà di essere messo ai margini, di essere espulso dal gruppo pur di non rinnegarla. Non è forse questo un modo di essere missionario nel mondo di oggi? Vivere la fede in profondità, credere e fare memoria dell’incontro personale con Gesù, perché divenga un punto fermo al quale ciascuno possa ritornare per riprendere forza e motivazione per testimoniare a tutti, con convinzione, ciò che il mondo, molte volte chiuso e ripiegato su se stesso, non vede e affermare con la Parola e con la vita che è possibile alzare lo sguardo e riconoscere i segni del Cristo presente nella storia. Vedere ed interpretare i segni della presenza di Dio attraverso i quali si coglie il rinascere della vita, che aiutano a superare i dubbi e le tenebre, che ci liberano e ridonano la capacità di riconoscere l’opera di Dio che si manifesta nella storia dell’umanità.