In vino veritas. Commento al Vangelo

Ogni pietra scartata diviene testata d’angolo. Questa è la profezia, forte e inebriante come un buon calice di vino rosso, che il Vangelo di oggi ci consegna per rinfrancare il nostro cuore. Non lasciamo che il calice passi oltre senza accostare le labbra e, dopo aver bevuto, chiediamo ancora il dono di non dimenticare. Meditazione sul Vangelo della domenica a cura di sr. Linda Pocher fma, docente di Teologia presso la Pontificia Facoltà Auxilium di Roma.

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 21,33-43)

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto per mio figlio! Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità! Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi?” Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».

XXVII Domenica del Tempo Ordinario – Commento al Vangelo

Il vino, la vite, la vigna: elementi comuni alla vita quotidiana dei popoli del mediterraneo ai quali la Scrittura è particolarmente affezionata. Anche di Gesù si dice che amasse il buon vino, bevuto in compagnia. A differenza dell’acqua e del pane, il vino non è essenziale per la sopravvivenza dell’essere umano. Il vino è un di più, è segno che la vita quotidiana si vive al di sopra di un regime di pura sussistenza. La presenza del vino in tavola è segno di benessere, la sua abbondanza caratterizza la gioia della festa. La sua mancanza, come a Cana, non è un buon presagio. E per questo, in quell’occasione, Maria – esperta delle sorti rovesciate! – interviene in fretta, perché la maledizione, per grazia, si trasformi in benedizione traboccante.

Sotto l’effetto del vino, inoltre, l’essere umano tende ad essere sé stesso, a rivelarsi per ciò che è. A chi prende la sbornia allegra, a chi prende la sbornia triste. Il vino allenta i freni del controllo, così come fa l’amore passionale, quando afferra il cuore di un uomo o di una donna. Per questo il Cantico dei Cantici dice che i baci dell’amato sono dolci come il vino e che il corpo accogliente e fecondo dell’amata è una vigna rigogliosa. Anche l’amore, come il vino, può dare alla testa. Non è cosa per bambini, bisogna saperlo bere e a bere, come ad amare, s’impara.

Ecco perché, quando i profeti vogliono descrivere l’amore appassionato di Dio per il suo popolo riprendono l’immagine della vigna: in quell’amore forte e inebriante, Dio rivela il suo volto e il suo desiderio che la vita delle sue creature sia traboccante di gioia come un banchetto di nozze in cui non manca il buon vino. L’amore di Dio e per Dio, però, si deve imparare, come si impara ad amare il proprio compagno o compagna di vita e come si impara a riconoscere e a godere il buon vino. Le creature, inoltre, sono invitate alla festa, ma non sono costrette a prendervi parte. Possono sempre declinare l’invito e lasciare che il calice passi oltre, senza accostare le labbra. Tagliarsi fuori, come tralci che ripudiano la vite.

Se il vino rappresenta la gioia messianica, la vita vissuta in pienezza e l’amore scambiato e condiviso tra Dio e le sue creature, possiamo capire perché i contadini della parabola che Gesù racconta nel Vangelo di questa domenica vogliano a tutti i costi impossessarsi della vigna! Possedere la vigna, infatti, significherebbe disporre autonomamente del vino, senza dover chiedere né rendere conto di nulla al padrone. Finché la vigna appartiene al padrone, insomma, i contadini non sono liberi di godere del suo frutto. Non pensano che il padrone potrebbe offrirglielo in dono. Non conoscono il cuore del padrone e non hanno alcuna fiducia in lui, tanto meno nell’erede.

Il gesto dell’uomo – che rappresenta il Padre -, la sua fiducia nell’affidare ciò che ha di più prezioso ad altri perché se ne prendano cura per lui e con lui, viene frainteso. Apparteneva a molte religioni antiche, ed è sopravvissuta fino a noi, l’idea che Dio sia un concorrente della libertà e della felicità delle sue creature. Uno schiavista, un sadico, un approfittatore. Per questo, al cuore della storia, Egli ha mandato il Figlio, umile, disarmato, come ambasciatore di pace e di riconciliazione. Ma neppure di Lui ci siamo fidati, neppure di Lui ci fidiamo, quando accusiamo Dio di tutti i mali della nostra vita e della storia e la rabbia rende i nostri occhi cechi di fronte alla sua mano testa, di fronte al calice pronto per noi, alla mensa per noi imbandita dalla sua bontà.

Di fronte al rifiuto, persino di fronte all’omicidio, a Dio rimane però sempre ancora una carta da giocare: il rovesciamento delle sorti. La maledizione che diventa benedizione e la benedizione che si estende, di generazione in generazione su tutti quelli aprono le proprie mani o il proprio cuore ad accoglierne la grazia.

E ogni pietra scartata, oggi come allora, diviene testata d’angolo. Questa è la profezia, forte e inebriante come un buon calice di vino rosso, che il Vangelo di oggi ci consegna per rinfrancare il nostro cuore. Non lasciamo che il calice passi oltre senza accostare le labbra e, dopo aver bevuto, chiediamo ancora il dono di non dimenticare.

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