“Minorità” è la parola missionaria di dicembre 2023

La buona notizia è troppo bella per tenerla per noi. Siamo chiamati a testimoniare il Vangelo in parole e opere. Quando questa diventa la nostra missione, trasformerà ogni cosa che facciamo. La rubrica “Parole e Opere” ogni mese propone una parola con cui approfondire e gustare il nostro rapporto con Dio, per predisporci alle buone opere e vivere in pienezza la nostra missione.

La Parola missionaria di questo mese è: MINORITÀ

a cura di Sr. Antonella Simonetti, Suora Francescana Missionaria di Assisi

“Ecco, ogni giorno il Figlio di Dio si umilia, come quando dalle sedi regali scese nel grembo della Vergine;ogni giorno viene a noi in umili apparenze;ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote” (Ammonizione I di S. Francesco).

È la vita del Figlio di Dio che si fa piccolo, nascondendosi prima nel grembo della Vergine Maria e poi in un insignificante pezzo di pane, il modello della vita e della missione del cristiano: una vita “minore”, una vita che, come ha fatto il Signore Gesù, sceglie di servire, mettendosi all’ultimo posto.

“Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?” (1 Cor 4,7). “E siamo fermamente convinti che non appartengono a noi se non i vizi e i peccati” (Rnb [48]). Tutto dal Signore abbiamo ricevuto e, dunque, non possiamo che vivere in umile atteggiamento di grata restituzione.

La Chiesa è chiamata ad essere “minore” perché custodisce e diffonde un dono che non è suo, ma che continuamente riceve e al quale essa stessa è sottomessa: il dono che il Padre fa del Figlio nello Spirito Santo. La Chiesa, dunque, esiste nella misura in cui, in obbedienza al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, si riceve continuamente da questo dono e, continuamente dipendente da esso, lo ridona a sua volta, con lo stesso atteggiamento del Padre che lo ha donato: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3, 20).

Come il Figlio di Dio, il primo missionario, ha svuotato se stesso per assumere la forma del servo (Fil 2,7), così la Chiesa è abilitata dalla grazia a farsi serva per donare vita attraverso la semplice condivisione di quel dono che le dà vita, perché la missione non sia né imposizione violenta, né smarrimento della propria identità, ma ospitalità gentile e delicata di ogni uomo nell’esperienza di Dio che la Chiesa vive e che la fa esistere.

Frequentando i lebbrosi, condividendo la vita con loro, nella prossimità e nel servizio, San Francesco comprende bene che un pilastro fondamentale della fraternità, ma anche della carità e dell’annuncio è proprio la minorità: spogliarsi di sé, rinunciare a dominare sull’altro, scegliere l’ultimo posto, per rispettare la libertà del fratello, per non umiliarlo, per non servirsene al fine di dimostrare la propria bontà.

Un bell’esempio di tutto ciò mi sembra anche la visita di San Francesco al sultano. Francesco va da lui come fratello minore, senza imporsi. Il sultano non diventa cristiano, sceglie liberamente, in qualche modo, di non accogliere quel dono, ma l’offerta umile e mite del dono stesso crea un legame, diventando già annuncio di quella charitas che sostanzia ogni missione.

Impegno concreto: vigilare e diventare sempre più consapevoli di quelle spinte interiori che ci inducono a primeggiare, ad imporci, a “dominare”, per imparare a gestirle mettendole davanti al Signore, cosicché sia Lui a convertirci e a renderci sempre un po’ più fratelli e sorelle minori.

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