La festa di Cristo Re dell’Universo è un grande appello alla fede in un Dio che è sempre oltre i nostri schemi, sempre diverso da come ce lo immaginiamo o da come lo vorremmo. Il suo non è un regno di dominio e di sopraffazione, ma di misericordia, di compassione, di tenerezza. E questo regno è qui, è in noi, come ci ricorda l’evangelista Luca (Lc 17,21), perché è Lui stesso risorto, vivente.
Meditazione a cura di Antonella Simonetti, Suora Francescana Missionaria di Assisi
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 18,33b-37)
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
Commento al Vangelo
Nostro Signore Gesù Cristo re dell’universo!
Nostalgie monarchiche della Chiesa? O nostalgia di un tempo in cui la Chiesa contava di più, quando tutti erano cristiani e le chiese si riempivano?
Se osserviamo la scena che il Vangelo di Giovanni ci offre, dovremmo rispondere proprio di no!
La festa di oggi ci impone di chiederci: “Ma davvero Gesù è re? E che re è?”.
Potremmo definirla grottesca questa scena, se non fosse… che coinvolge il nostro Re: un poveraccio, uno sconfitto, un quasi condannato a morte che si proclama re davanti al governatore romano! E il governatore che, un po’ seccato e desideroso di chiudere in fretta la questione, lo incalza: “Dunque tu sei re?”.
Tutto sta a intendersi, perché… “Il mio regno non è di questo mondo”.
La festa di oggi, allora, è un grande appello alla fede in un Dio che è sempre oltre i nostri schemi, sempre diverso da come ce lo immaginiamo o da come lo vorremmo. C’è un’idea di Dio che un po’ tutti noi abbiamo, un’idea che soggiace, spesso dormiente, un po’ a tutti i nostri cammini spirituali, anche quelli più raffinati: è l’idea di Dio come un re potente che con la spada in mano sconfigge le guerre, le malattie, appiana le incomprensioni, converte istantaneamente i cuori di tutti per un mondo migliore. Invece… “Il mio regno non è di questo mondo, se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto…”.
Gesù Cristo non è un re che rivendica il potere, che si impone platealmente sui mali del mondo, non è un re che manda i suoi sudditi al macello per fare piazza pulita di tutti i “cattivi”. È un re che accetta di andare Lui al macello, ma come agnello mansueto, perché sa che l’unico modo per salvare il mondo è assumere questo mondo “storto”, malato, violento così com’è, lasciarsi sconfiggere, calpestare, uccidere, pur di non rispondere alla violenza con la violenza, per poi vincere la morte dal di dentro e sprigionare energie di Vita, di dono, per l’avvento di un regno che non è regno di dominio e di sopraffazione, ma di misericordia, di compassione, di tenerezza. E questo regno è qui, è in noi, come ci ricorda l’evangelista Luca (Lc 17,21), perché è Lui stesso risorto, vivente. A noi scegliere di aderirvi o no.
La sollecitazione che Gesù rivolge a Pilato (“Tu lo dici”) risuona come una domanda rivolta a ciascuno di noi: “Tu cosa dici? Sono io il tuo re? Vuoi riconoscermi come il tuo re? Vuoi intessere una relazione con me? Vuoi giocare la tua vita su di me?”
Su questo re così strano, che non è un’assicurazione sulla vita, che non serve a far andar bene le cose, che viene in me con la sua mansuetudine, con il suo amore che si fa dono totale, più forte del male e della morte; un re che è Signore del tempo e della storia e dunque ci assicura che questo mondo non sta cadendo nel baratro, ma è incamminato verso l’abbraccio del Padre; un re che ci comanda unicamente di amarci gli uni gli altri, nello stupore di scoprirci amati, perché Lui ci ama sempre per primo; un re che è il Signore della mia vita e la conduce, tra le gioie e le avversità che si alternano su questa terra, ad una sempre maggiore capacità di dono, fino al compimento finale. “Vuoi che io sia il tuo re?”. A noi la risposta.