Il dramma del nostro tempo è quello di non osar dire, come Maria: “Non abbiamo più vino!”. Al rischio del non visibile preferiamo le certezze di ciò che è constatabile e ci rassegniamo a una realtà insufficiente e precaria. Gesù si presenta per dare corpo ai nostri desideri più profondi e renderli possibili, non tramite uno sforzo sovrumano, ma come dono da accogliere.
Meditazione sul Vangelo di domenica 19 gennaio a cura di Teresina Caffi*, missionaria Saveriana e biblista.
Seconda domenica del Tempo Ordinario, Anno C
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 2,1-11):
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Commento al Vangelo
“Egli manifestò la sua gloria”. Fin dal III secolo, le comunità d’Oriente hanno associato tre eventi: l’epifania, il battesimo e le nozze di Cana. Che cosa li lega? La manifestazione di Gesù. Attraverso di essi, il bambino nato povero si manifesta: ai Magi, cioè alle genti, che lo riconoscono Signore nel loro lungo cercare e nei doni che gli offrono; al popolo in attesa lungo il Giordano, con la testimonianza del Padre stesso; e ai discepoli con il segno dell’acqua mutata in vino.
Così dice Ambrogio nell’inno che abbiamo cantato ai vespri dell’Epifania:
«… I Magi vanno a Betlem / e la stella li guida: / nella sua luce amica / cercan la vera luce.
Il Figlio dell’Altissimo / s’immerge nel Giordano, / l’Agnello senza macchia / lava le nostre colpe.
Nuovo prodigio, a Cana: / versan vino le anfore, / si arrossano le acque, / mutando la natura…».
Che segno è quello di Cana? Che cosa aggiunge agli altri due? Il vino nelle sue diverse forme (dall’uva, dal mais, dalle banane…) è ovunque segno di festa. Ed ecco che nel piccolo villaggio di Cana, ove tutta la gente si è riunita per la festa presso la casa dei due sposi, esso viene a mancare. Esperta di povertà, Maria sa la vergogna che ne verrebbe alla famiglia e, discreta e capace di osare, lo segnala al Figlio.
Il quadro è squisitamente umano, con tocchi che le società ricche non possono comprendere perché non sperimentano mai il bisogno. Al contempo, dice Giovanni, è un “segno”: un invito ad andare oltre.
Il vino che scarseggia, lasciandoci con la sola acqua, rinvia all’insufficienza di tutte le nostre feste, alla precarietà di tutte le nostre gioie. Anche chi va turista nello spazio, alla fine scende dal razzo e non gli restano che immagini da lanciare agli amici. Gioie insufficienti perché non durature e perché non al livello delle nostre attese profonde. Diceva Agostino: “Ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te” (Confessioni, 1).
Il dramma del nostro tempo è forse quello di non osar dire, come Maria: “Non abbiamo più vino!”. Al rischio del non visibile preferiamo le certezze di ciò che è constatabile e ci rassegniamo a una realtà insufficiente e precaria. Pensando forse che sono le religioni ad aver acceso in noi desideri fuori misura.
Gesù si presenta per dare corpo ai nostri desideri più profondi e renderli possibili, non tramite uno sforzo sovrumano, ma come dono da accogliere. Gratis ma offerto ad alto prezzo, perché l’amore vero non è mai facile, neanche per Dio. Quell’ora che Maria vuole accelerare e a cui Gesù rimanda è quella del dono di sé sulla croce, di cui Maria sarà partecipe nel suo grande dolore.
Gesù sperimenterà la sete bruciante per dissetarci, il dolore perché fossimo colmi di gioia, la morte perché avessimo la vita. Sarà la sua dote versata per farci davvero sua sposa, noi, suoi discepoli: «Siete stati riscattati a caro prezzo», ricorda Paolo ai Corinzi (1Co 7,23).
Possiamo solo, come i servi, obbedire stupiti, provare a credere e renderci conto che con Gesù il vino della gioia scorre abbondante, mai prosciugato dalle siccità delle vicende terrene. E sentire l’urgenza di porgerlo al mondo, che tanto pena, tanto tribola, tanto si abbevera ad acque inquinate.
La Chiesa è un invito a festa. Quando si lascia appesantire da montagne di precetti, manca a quello che non solo è il primo, ma la fonte di tutti gli altri segni.
* Missionaria saveriana, Teresina Caffi è nata nel 1950 a Pradalunga (BG), entra ventunenne fra le missionarie di Maria – Saveriane, a Parma. Licenziata alla Gregoriana in teologia biblica, ha svolto la sua missione prima in Burundi e poi nella Repubblica Democratica del Congo, dove si reca sei mesi l’anno per corsi.