Candelora: Cristo «luce per illuminare le genti». Commento al Vangelo

La festa della presentazione di Gesù al tempio è una festa di luce, suggerita dalle parole del giusto Simeone, che si rivolge al Bambino Gesù chiamandolo “luce per illuminare le genti e gloria di Israele”. Quella luce che si è accesa nella grotta di Betlemme, e che ora viene incontro al suo popolo, lascia già intravvedere, nell’offerta che Maria e Giuseppe fanno a Dio, il dono totale che Gesù farà di sé sulla croce, perché quella stessa luce possa risplendere in tutto il suo fulgore il mattino di Pasqua.

Meditazione a cura di Antonella Simonetti, Suora Francescana Missionaria di Assisi

“L’essenziale è invisibile agli occhi. Non si vede bene che col cuore” (Antoine de Saint-Exupéry).

Ecco una bella frase per introdurre quella che i nostri fratelli d’Oriente definiscono la festa dell’Incontro e che noi chiamiamo tradizionalmente la Candelora, la festa della luce. Due temi centrali – l’incontro e la luce – nel brano del Vangelo di Luca che oggi la liturgia ci propone.

Quaranta giorni dopo il Natale avviene il primo incontro del Signore Gesù con il suo popolo, nella persona del vecchio Simeone. Eh sì, perché l’iniziativa è sempre di Dio. È Lui che ininterrottamente ci precede, continuando ostinatamente a farsi incontro a ciascuno di noi, a venirci a cercare. E ci viene a cercare sempre senza fare rumore, senza dare nell’occhio, con la delicatezza di una brezza leggera, nascondendosi nel corpicino insignificante e indifeso di un neonato come tanti, perché rispetta troppo la nostra libertà per “obbligarci” a capitolare davanti a Lui, alla sua maestà; perché ci vuole amici, figli, e non schiavi. Ecco la prima buona notizia che la festa di oggi ci invita a celebrare: nel fluire dei nostri giorni, nel fluire della storia, tormentata da tragedie e rischiarata da eventi lieti, il Signore ci viene incontro, per fare la strada con noi, per unirci sempre più a sé, per renderci sempre un po’ più simili a Lui, sempre un po’ più capaci di amare come Lui ama.

La presenza del Signore, però, proprio perché discreta, nascosta, sommessa, chiede occhi capaci di riconoscerla. Il tempio pullulava di dottori della Legge, versati nello studio delle Scritture, ed era pieno di persone che partecipavano alle preghiere e alle liturgie, eppure solo due persone molto anziane, Simeone ed Anna, riconoscono in quel bambino, così uguale a tutti gli altri bambini, il Figlio di Dio.

Simeone aveva atteso per tutta la vita il Messia, dunque sarebbe stato lecito per lui rassegnarsi, smettere di attendere, volgere lo sguardo altrove. Anna era rimasta vedova giovanissima, dopo soli sette anni di matrimonio, dovendo affrontare una condizione socialmente certo molto difficile; si sarebbe, quindi, potuta inasprire, chiudere, ripiegare su di sé. Ma Luca ci offre, di questi due vegliardi, una descrizione rivelativa: “Lo Spirito Santo era sopra Simeone” e “Nello Spirito egli andò al tempio” e “Anna non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere”.

Ecco perché Simeone ed Anna non si sono inaciditi, non si sono stancati di attendere, non hanno incolpato Dio di essersi dimenticato di loro: perché hanno intessuto per tutta la loro vita e per tutta la loro vecchiaia una relazione intensa, profonda con il Signore, sono vissuti continuamente nello Spirito, lasciandosi condurre e ammaestrare dallo Spirito, imparando a credere allo Spirito, più che all’“evidenza” della realtà.

L’assiduità con il Signore li aveva resi certi che il Signore non abbandona nessuno dei suoi figli, che porta a compimento tutte le sue promesse, che dona vita e salvezza a tutti e a ciascuno. Forti di questa certezza, rimangono ostinatamente e serenamente in attesa, anche se il tempo passa, anche se nulla si scorge all’orizzonte.

Ecco la seconda buona notizia che emerge da questo testo: a ognuno di noi è data la possibilità di entrare in una relazione vivificante con il Signore, la quale può nascere solo sul terreno di un’interiorità pazientemente coltivata e aperta all’incontro. Solo se stiamo con Lui, se lo frequentiamo assiduamente, il nostro sguardo potrà affinarsi, potrà diventare capace di andare in profondità, oltre ciò che appare, per cogliere l’Essenziale, per non lasciarsi incantare dall’evidenza della realtà e scorgere il Signore all’opera nella storia.

Una vita vissuta instancabilmente sotto la guida dello Spirito di Dio, in ascolto di Lui, fa esplodere il lungo silenzio di Simeone in un inno di lode a Dio, riconosciuto e celebrato come luce, luce – dice letteralmente il testo – per la manifestazione, lo svelamento in favore delle nazioni… Si realizza finalmente – anche se non ancora pienamente compiuta – la profezia di Isaia: “Il Signore strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto…” (Is 25,7-8). È la risurrezione di Cristo che squarcia finalmente quel velo! Eh sì, perché “La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta” (Gv 1,5), perché solo “Alla tua luce vediamo la luce” (Sal 36,10), perché “Il mio Dio rischiara le mie tenebre” (Sal 18,29).

Ecco la festa della luce, che dal Natale ci proietta verso la Pasqua. Quella luce che si è accesa nella grotta di Betlemme, e che ora viene incontro al suo popolo, lascia già intravvedere, nell’offerta che Maria e Giuseppe fanno a Dio del Suo stesso Figlio, e nell’immagine della spada e del segno di contraddizione, il dono totale che Gesù farà di sé sulla croce, perché quella stessa luce possa risplendere in tutto il suo fulgore il mattino di Pasqua. Ecco un’altra buona notizia: la Luce è più potente delle tenebre, anche quando le tenebre sembrano inesorabilmente avere la meglio, anche quando sembrano avere l’ultima parola. La luce sfolgorante della Pasqua, che ha illuminato la notte più buia della storia, ci assicura che la morte, in tutte le sue forme, è stata vinta, e se ancora ne facciamo tristemente esperienza, siamo certi che non soccomberemo al suo potere distruttivo. E allora ha senso impegnarsi, lottare, amare, perché tutto ciò che deriva da quella Luce ha origine dal cuore di Dio e al suo cuore ritorna, per rimanervi per tutta l’eternità.

Oggi, infine, celebriamo la giornata della Vita Consacrata, quella forma di vita che ha la sua cifra proprio nel dono di tutto se stessi a Dio; quella forma di vita che rimanda la Chiesa all’Assoluto di Dio e le ricorda che la nostra vita non è tutta qua, che anche le esperienze più belle, più vere, più appassionanti che possiamo vivere sono in realtà esperienze “penultime”, in cammino verso un compimento, in cammino verso Colui che è il Compimento! Perché celebriamo proprio oggi la giornata della Vita Consacrata? Forse per ricordarci sempre che l’iniziativa è di Dio. È il dono totale di sé che Gesù fa al Padre, a cominciare da questo gesto rituale, reso possibile dall’obbedienza umile e semplice di Maria e Giuseppe, per continuare con tutta la sua vita, completamente consegnata al Padre, fino al dono supremo della croce, è appunto il dono totale che il Figlio fa di sé al Padre a fondare e a rendere possibile l’offerta della propria vita che il consacrato fa a Dio. Solo se strettamente unita, per sempre, a quell’unica Offerta, ogni vita consacrata potrà brillare, in mezzo alle tenebre, di quella Luce.

©Foto di Dazzle Jam da Pexels

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