“Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio”. Per credere che siamo beati quando siamo poveri, quando abbiamo fame, quando piangiamo, quando siamo odiati, occorre fede. Ci vuole quella incrollabile fiducia nel Signore che sa andare oltre l’apparente assurdità, per accettare quello che non si capisce, abbandonandosi a Lui.
Commento al Vangelo di domenica 16 febbraio a cura di Padre Piero Masolo, missionario del PIME (Pontificio istituto missioni estere).
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 6,17.20-26)
In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».
Commento al Vangelo
“Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio”. Come possono essere beati i poveri? Ogni settimana incontro alcuni dei moltissimi poveri di Detroit (Michigan, Stati Uniti), nel bar che le Felician Sisters hanno aperto qualche anno fa sul 7° Miglio. Chi viene può sedersi, bere un caffè, chiacchierare in un ambiente caldo, sia fisicamente (fuori si arriva anche a – 15°!) che umanamente. Può anche semplicemente prendere un pasto già pronto ed andarsene. Può fare la spesa gratuitamente, trovare un giaccone o prendere su un libro da leggere. Tutto questo è Deo Gratias, un posto speciale. I poveri che accogliamo sono spesso affetti da dipendenze, sorridono di rado e non sembrano particolarmente felici. Sono provati dalla vita.
Insomma non sembrano affatto beati, ma forse vale per loro la seconda delle beatitudini che Gesù proclama nel discorso della pianura secondo Luca: “Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati”.
Mi viene da pensare ad altri poveri, che ho incontrato l’anno scorso in Myanmar, un Paese martoriato da quattro anni di guerra civile: sono gli sfollati. Milioni di persone che hanno dovuto abbandonare le loro case, distrutte dalla guerra, e sopravvivono in altre zone del Paese. Vengono chiamati migranti interni: hanno perso tutto ma almeno sono vivi. Come possono essere beati?
“Beati voi, che ora piangete, perché riderete”. Penso alle famiglie delle 14 vittime dell’attentato terroristico del 1° gennaio scorso a New Orleans. Dei giovani che stavano festeggiando capodanno divertendosi, spensieratamente, e che non hanno mai fatto ritorno a casa. La loro vita è stata stroncata senza che neanche se ne rendessero conto. E lo stesso vale per le loro famiglie: come si può accettare l’uccisione violenta di un figlio, di una figlia? Come si può sopravvivere a tanto dolore? Come possono essere beati?
“Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo”. Ricordo quando, camminando per strada in Algeria, ho sentito qualcuno pronunciare la parola gaurì nei mei confronti. Gaurì significa infedele, non-musulmano, straniero, migrante, ed ha una connotazione fortemente negativa. Quando ho chiesto cosa significasse ad alcuni amici algerini, non solo me lo hanno spiegato ma si sono sentiti in dovere di scusarsi per il razzismo di alcuni loro concittadini. L’essere additato e giudicato senza motivo fa male: potevo forse sentirmi beato in quel momento? Queste quattro beatitudini sembrano assurde, quasi Gesù volesse spiritualizzare i problemi reali. Eppure sono la carta d’identità del cristiano, di colui che crede veramente.
Seguono i guai, non delle maledizioni, ma degli avvertimenti che Gesù dà alla folla che lo ascolta, affinché non si lasci abbagliare da ciò che non è essenziale.
“Guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione”. Eppure noi di solito pensiamo che i ricchi siano felici. Tanti li invidiano, vorrebbero essere come loro, godere della stessa consolazione qui ed ora. Sono felici? Possono esserlo certamente, spesso non lo sono affatto, ma guai se vivono solo per quello! La ricchezza è un mezzo per costruire, dare lavoro, fare del bene, condividere, mai un fine. Se lo diventa è proprio un guaio! Come sono tristi le persone attaccate ai soldi, e come sono limitate quelle che vivono solo sul piano materiale.
“Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame”. Questo secondo avvertimento mi fa pensare a tante persone che invece di nutrirsi si sfogano sul cibo. Cosa c’è di più bello di un pasto condiviso tra amici, o in famiglia quando si è felici di ritrovarsi? Al contrario, è così triste, a mio parere, quello che accade in tante famiglie americane: ognuno torna a casa dal lavoro o da scuola, va verso il frigorifero, prende quello che vuole e mangia per conto proprio, magari davanti alla TV. Ci si può saziare di cibo, magari rimpinzarsi, restando profondamente affamati di affetto, amicizia, relazioni vere e profonde.
“Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete”. Ridere ci fa bene, di solito quando ridiamo siamo contenti. A volte ridiamo di qualcun altro, prendendolo in giro; altre volte ridiamo anche se siamo imbarazzati. A volte chi ha bevuto troppo è allegro, e ride; altre volte chi ha abusato di droghe è su di giri, e ride. Chi vuole divertirsi a tutti i costi spesso ride. Sono felici? No, ridono, ma senza una vera ragione per farlo.
“Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi”. L’approvazione degli altri non è qualcosa che desideriamo? Dice che siamo stimati, benvoluti, magari anche famosi. Eppure quando dici le cose come stanno, sinceramente e schiettamente, alcuni saranno d’accordo ed altri no. La verità crea nemici, ma rende liberi.
Il discorso delle beatitudini di Gesù si innesta su un’immagine splendida che sia il profeta Geremia che il Salmo 1 ci regalano:
“Benedetto l’uomo che confida nel Signore e la cui fiducia è il Signore. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti” (Ger 17,7-8).
Per credere che siamo beati quando siamo poveri, quando abbiamo fame, quando piangiamo, quando siamo odiati, occorre fede. Ci vuole quella incrollabile fiducia nel Signore che sa andare oltre l’apparente assurdità, per accettare quello che non si capisce, abbandonandosi a Lui. Allora saremo beati!

p. Piero Masolo, PIME