Se in molte pagine dell’Antico Testamento la giustizia di Dio si manifestava nella punizione dei malvagi e nella ricompensa dei buoni, nel Nuovo Testamento la parola giustizia va compresa ai piedi della croce. La nuova riflessione di Teresina Caffi*, missionaria Saveriana ed esperta biblista.
Si può discutere se l’immagine di Dio espressa dall’Antico Testamento sia a tratti violenta, secondo l’idea di autorità che il popolo aveva a quel tempo. Ma c’è un tratto indubitabile del Dio biblico: la giustizia (in ebraico tsedaqáh). I Salmi sono pieni di gridi di oppressi che ricorrono al Dio giusto, certi che li rimetterà nel loro diritto, anche punendo l’oppressore. E se spesso in essi ritorna la domanda: “Fino a quando?” è proprio per la lunga attesa di una risposta di giustizia. Ma in che senso Dio è giusto e qual è la giustizia che domanda da noi?
Potremmo dire Dio è giusto perché è fedele a quello che è. L’autore del Salmo 51 gli chiede d’essere giusto (v. 6b): cioè di cancellare il suo peccato conformemente al suo amore fedele e gratuito. È in questo senso che Paolo dirà che in Gesù “si è manifestata la giustizia di Dio” (Rm 3,21): cioè la sua totale fedeltà nel salvare quell’umanità che aveva deciso di amare per sempre, costi quel che costi. E così, non per nostro merito, siamo “giustificati”, resi giusti dalla sua giustizia in Gesù, morto e risorto per noi.
Analogamente, per l’essere umano essere giusto significa essere secondo quanto è stato fatto: “a immagine e somiglianza di Dio” (cf. Gen 1,26), essere quello che dev’essere. Le Dieci parole e le legislazioni che le attualizzano, e traducono nei dettagli, mostrano che la giustizia esige la misericordia, la cura del debole. La vedova, l’orfano, lo straniero, il povero hanno diritto al sostegno: si tratti di restituire a sera il mantello dato a pegno, anche se non hanno reso il prestito, di lasciare loro i bordi del campo non mietuti perché possano spigolare. E ogni sette anni cancellargli i debiti e al giubileo del “sette per sette anni”, ridargli anche la terra perché escano dalla miseria.
Se in molte pagine dell’Antico Testamento la giustizia di Dio si manifestava nella punizione dei malvagi e nella ricompensa dei buoni, il Nuovo Testamento apre uno scorcio nuovo e inaudito su di essa: Gesù infatti viene a “cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10). Non banalizzando il male, ma portandolo su di sé fino a morirne. In Gesù crocifisso non è il malvagio che riceve la giusta pena ma il giusto che porta su di sé il peso del fratello/sorella debole, per risollevarli per amore. Nel lacerarsi del velo del Santuario alla sua morte appare che Dio è lì che si rivela: Dio è così.
Da allora, la parola giustizia va compresa ai piedi della croce. I nostri documenti del catasto non ci giustificheranno d’aver accumulato terre e case, i nostri documenti giustificativi non ci garantiranno d’aver accumulato del nostro, la nostra resistenza al perdono non troverà scuse. Nati dalla misericordia, siamo fatti per vivere di misericordia, in ogni sia espressione. Non pretendiamo d’essere giusti, ma aneliamo ad esserlo: “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati” (Mt 5,6), finché il Signore ce ne colmerà.
In questi giorni, sul confine fra Polonia e Bielorussia, ci sono Polacchi che accendono una luce verde alla finestra della loro casa per dire ai migranti infreddoliti, affamati, picchiati, respinti, che possono trovare un tetto e una sosta. Questa è la giustizia di Dio. L’altra, di chi li respinge perché mancanti di permessi, è disumanità.
* Missionaria saveriana, Teresina Caffi è nata nel 1950 a Pradalunga (BG), entra ventunenne fra le missionarie di Maria – Saveriane, a Parma. Licenziata alla Gregoriana in teologia biblica, ha svolto la sua missione prima in Burundi e poi nella Repubblica Democratica del Congo, dove si reca sei mesi l’anno per corsi.